Viene da pensare che lo pseudonimo
Scipione, Gino Bonichi (Macerata 1904 – Arco, Trento, 1933) lo abbia scelto, oltre che per omaggiare la città adottiva, con l’intento di scalfire l’atmosfera “pesante” impiantata dai movimenti Novecento e Valori Plastici, nonché quella che incombeva sulla capitale all’indomani della Prima guerra mondiale. Una moltitudine, attratta da tutto ciò che Roma poteva rappresentare all’epoca, la percorreva con grandi aspettative, spesso amaramente deluse. Perché la Roma di quegli anni era pure una città abbandonata a sé stessa, dove le vestigia, che avevano contribuito a costruirne la fama, erano ridotte a umili ruderi. Una
“Roma piccola”, per usare la definizione dello stesso Scipione.
E tuttavia, affascinava non solo il giovane marchigiano -trasferitosi con la famiglia nel 1924- ma anche altri artisti, da
Mario Mafai ad
Antonietta Raphaël, che dietro l’impulso di Scipione diedero vita alla feconda
“Scuola Romana di Via Cavour” (Roberto Longhi).
Come spesso accade ai
genius loci, sebbene in questo caso acquisito, a lungo Scipione è rimasto nell’oblìo, e la mostra capitolina giunge dopo oltre mezzo secolo dalla sua morte. La rassegna ha comunque il merito di ricordare quel precoce pittore che, con una manciata di opere e nell’arco di pochissimi anni, stravolse l’indolenza della storia dell’arte, meritandosi i riconoscimenti della 17esima Esposizione Internazionale di Venezia (1930) e della prima edizione di Documenta (1955).
D’altro canto, il limite dell’esposizione è imputabile alla struttura ospitante e a una discutibile scelta illuminotecnica. Nata per scopi ben diversi, l’architettura si adatta a fatica a quello di spazio espositivo. Inoltre, l’Archivio della Scuola Romana, che cura e promuove la mostra, ha eccessivamente ridotto l’apparato didascalico, rendendo ardua per i non-specialisti la contestualizzazione dell’opera dell’artista.
Ad ogni buon conto, le opere selezionate permettono di ricostruire il percorso artistico e biografico di Scipione e di apprezzarne le tematiche e i soggetti: la Chiesa, Roma, gli amici, le ossessioni e le paure. L’apertura è affidata a due autoritratti e a un ritratto eseguito dall’amico
Mazzacurati. È esposto l’esordio artistico, rappresentato dal
Ritratto di Sara (1927) e da
Leda (1928) -la prima opera che l’artista riesce a vendere, a
“ben 1.000 lire!”-, caratterizzato da una preponderante impostazione classica. L’esordio “pubblico” è documentato da
Contemplazione (1929), di gusto assai “primitivo”.
Il risveglio della bionda sirena (1929), ispirato da un sogno di Antonietta Raphaël, racconta i legami d’amicizia dell’artista e testimonia il raggiungimento di una certa libertà formale, caratterizzata da precise note espressionistiche, dall’ironia e talvolta dall’erotismo.
Temi avvicinati anche nella produzione poetica, dove Scipione esprime la volontà di indagare il medesimo ventaglio di questioni, dalla Chiesa al sesso, alla bramosìa di vita.
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uno dei pittori più affascinanti del XX secolo
eh sì
il goya de noantri
bello!