Il gigante luminoso di
Marco Lodola (Dorno, Pavia, 1955; vive a Pavia) è lì, eroico e possente. Un grande cavallo alato – felice connubio di mito e tecnologia – che accoglie lo spettatore. Prefazione di un racconto visivo attraversato da un momento chiaro e da un altro sospeso in una temporanea oscurità.
La musica dei Pink Floyd vibra negli ambienti della Nuova Pesa, consacrata dal titolo stesso della mostra,
Eclysse, fino a quando la performance non coinvolge anche
Andy, musicista dei Bluevertigo nonché pittore, con il suo omaggio a David Sylvian e Robert Fripp. Assaggio romano del binomio che s’è ripetuto in occasione della vernice del Padiglione Italia alla Biennale. Una contaminazione cara a Lodola, che ama la musica e ha un proprio studio di registrazione dove si cimenta a suonare parecchi strumenti, dichiarando di suonarli male tutti, a eccezione della chitarra.
Fondatore negli anni ’80 del movimento Nuovo Futurismo (teorizzato da Renato Barilli), a partire dal 1990 l’artista è tornato più volte a esporre nella galleria romana. P
er quest’occasione ha scelto due serie, apparentemente opposte, del 2008-09. Filo conduttore, la leggiadria di un passo di danza, metafora del fluire dinamico della vita.
“
Temi che porto con me da sempre, perché rappresentano l’idea di movimento, leggerezza, trasparenza. È un modo filosofico per celebrare la vita. All’inizio, anni fa, ho cominciato a fare ballerine semplicemente perché mi piacevano. Quanto ai colori, si tratta di una vera cromoterapia. Illumino l’universo buio che ci spaventa. Mi diverto quando li realizzo e mi piace trasmettere questo senso. Non ho messaggi sublimi o contenuti particolari”. Opere che respirano gioia di vivere: “
Parafrasando l’intenzione di Matisse di disegnare con il colore, io intendo farlo con la luce”, continua Lodola. Un’“illuminazione” che si nutre anche dei ritmi di
Depero e degli altri futuristi, insieme all’ammirazione per
Andy Warhol.
In una sala sono concentrati i lavori in perspex trasparente: da lontano rimane solo il disegno di luce. In un’altra, invece, lo stesso materiale – nella versione nera compatta – è illuminato dal retro. Opera unica, sperimentale, la grande sagoma di un body builder, che s’ispira a un’altra delle passioni dell’artista: il culturismo. Dalla superficie industriale ritmata da fori regolari s’intravede un’anima pulsante. Un’ispirazione che nasce dai vecchi libri di anatomia.
La formula artistica deriva dalle luci artificiali delle insegne pubblicitarie: lampadine colorate, perspex, neon. Motivo per cui Lodola torna a ripetere, giocosamente, che all’etichetta di “artista” preferisce quella di “elettricista”.
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ridicolo!
Concordo...e pensare che il Lodola degli anni'80 quello delle installazioni parietali era molto interessante
che tristezza...
patetico e..ridicolo insieme!!
Fidatevi!!