Di fronte ai lavori di Giosetta Fioroni (Roma, 1932) si viene immediatamente calati nell’atmosfera della Roma degli anni Sessanta. Quella Roma che viveva i mitici anni d’oro, che l’hanno trasformata in un attivo e fervente centro culturale di assoluta ed indiscussa internazionalità. Brillante stagione che ha visto la presenza d’importanti autori che hanno lasciato, con le loro opere, una fedele radiografia di quei giorni. Immortalata dai film di Federico Fellini, di Michelangelo Antonioni o dagli scatti di Tazio Secchiaroli e di Marcello Geppetti, è la Roma di Brigitte Bardot, Anita Ekberg, Liz Taylor, Richard Burton, Aicheé Nanà, Grace Kelly, Audrey Hepburnn e Gary Cooper. Ma è la città poeticamente raccontata dal compagno della Fioroni, lo scrittore Goffredo Parise, che descrive però anche l’altra faccia della capitale, quella della borghesia romana “generona, fascista e papalina”, che “mostrava il suo volto notturno fatto sostanzialmente di spazzatura vagante, di ragazzi in giubbotti di cuoio che sfrecciavano rombando in motocicletta, i giustizieri della notte che avevano assassinato Pasolini, che avevano stuprato le ragazze del Circeo…”.
Anche i lavori esposti in questa mostra diventano, senza però averne la pretesa, un delicato documento di quel tempo. Delicato perché pochi tratti percorrono le tele e le carte realizzate da Fioroni, ma sono tratti precisi e fortemente evocativi, “impronte fugaci” le ha infatti definite Giuliano Briganti.
Lavori che sono inoltre di grande interesse per testimoniare una prima svolta del ricco e lungo percorso artistico dell’artista. Dopo una formazione presso l’Accademia delle Belle Arti con Toti Scialoja e il successivo esordio informale, avvenuto con il suo debutto in occasione della VII Quadriennale di Roma (1955) e con la partecipazione alla XXVIII Biennale di Venezia (1956). E’ in questi anni che si avvicina alla versione tutta italiana della Pop Art realizzando un ciclo di tele con immagini d’argento, che da subito ottennero una particolare attenzione. Un ciclo molto nutrito, che comprende anche diverse versioni dello stesso soggetto (Ragazza TV, 1964, di cui un esemplare è nelle collezioni della GNAM, o “Una donna (Immagine del silenzio)”, 1964). Quella esposta è un’accurata e attenta selezione, mirata a tracciare e a indicare l’attività dell’artista nella sua interezza. Ed è proprio di fronte all’opera Ragazza TV che nella mente corrono i richiami alle riviste patinate, ai bagni nella Fontana di Trevi, agli spogliarelli nei locali notturni, alle notti di Via Veneto e di Piazza del Popolo, ai film di 007 nella versione di Terence Young.
Colore-non colore, l’argento riesce contemporaneamente a trasmettere, con assoluta facilità e senza contraddizioni, quella sensazione di sospensione; a legare più saldamente le immagini alla realtà quotidiana, per essere da sempre il metallo che simboleggia l’altro regno, quello terreno.
Le opere sono scelte tra 1960 e il 1968, anno quest’ultimo di una nuova svolta artistica della Fioroni, che la porta ad allontanarsi dalla pittura con la performance La spia ottica. E palese è la loro dipendenza da fotogrammi, ripresi non solo da giornali e riviste, ma attinti anche nell’archivio di fotografie personali. Attinenti alla sfera personale anche i lavori che vengono definiti “film” del 1967, tutti in bianco e nero, nei quali l’artista esprime proprie riflessioni sul mondo femminile (Solitudine femminile) o divertenti momenti (Gioco, con Pino Pascali). Ovviamente non poteva mancare un silenzioso e significativo omaggio a Parise, con un film ed una carta entrambi semplicemente titolati Goffredo.
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