Nel ‘69, a Berna, una grande mostra sanciva al mondo la nascita di un nuovo movimento, individuandone il motore creativo nell’enunciato-titolo
When attitude become form. A questa retrospettiva partecipava, tra i molti altri, anche
Fred Sandback (New York, 1943-2003), allievo di
Donald Judd e
Robert Morris, la cui intera produzione nasce da una specifica relazione e atteggiamento verso la realtà, espressa mediante la linea, scelta come segno “
veloce e astratto”.
Molteplici relazioni legano alle istanze dell’arte minimal e concettuale la ricerca di Mochetti, Sandback e Agnetti. Per
Vincenzo Agnetti (Milano, 1926-1981), la forma del linguaggio visivo e verbale è l’oggetto da indagare con intento de-costruttivo;
Maurizio Mochetti (Roma, 1940), in sintonia con Sandback, rifiuta lo spazio come categoria data a priori, dimostrandone il carattere relativo e fisiologico-percettivo, in una continua azione di verifica attraverso l’uso della luce.
La prima sala della galleria ospita un’installazione immateriale di Mochetti: due corpi sferici traslucidi, posti a distanza, emanano luce. L’intensità luminosa dei corpi è in un rapporto proporzionale costante, mentre una sfera aumenta d’intensità, l’altra diminuisce come in un travaso di energia ciclico e senza fine. Privati del valore di oggetto, questi “corpi incorporei” sono masse generate dal passaggio di luce, in un fluire che dilata la percezione spazio-temporale dello spettatore.
Proseguendo, si trovano due lavori che ben evidenziano il profondo legame tra la ricerca di Mochetti e quella di Sandback. Da un lato, una linea laser rossa disegna lo spazio evidenziandone l’angolo d’incrocio delle pareti, attraverso una sottrazione. Nella stanza a fianco,
Senza titolo (1970) di Sandback: due fili elastici, grigio e giallo, tesi orizzontalmente, delimitano una porzione angolare di spazio attraverso le ombre proiettate diagonalmente sul pavimento. Entrambi i lavori si muovono sulla soglia impercettibile tra ciò che esiste in quanto visibile e ciò che non-esiste o, meglio, è invisibile: lo spazio materiale e quello immateriale, l’assenza racchiusa in ogni presenza sono le questioni che muovono i due artisti nell’indagine relazionale con l’ambiente-spazio.
Nell’ultima sala, tre lavori di Agnetti, tra i principali esponenti del concettuale in Italia. L’artista, partendo dal “rifiuto di dipingere”, nel 1969 ha orientato la propria ricerca artistica sullo scardinamento dei meccanismi del linguaggio e della comunicazione, utilizzando diverse modalità espressive quali la scrittura critica e la poesia visiva. In mostra un’asserzione inappellabile, marchiata su feltro, recita: “
oggi io e te abbiamo detto di no”.
A chiudere il cerchio di questa mostra avrebbe potuto esserci un altro celebre enunciato di Agnetti del ‘69, dove l’artista dichiara: “
Il tempo è il percorso dello spazio e lo spazio la deposizione del tempo”.