Terzo appuntamento della seconda edizione della rassegna Autunno Contemporaneo presso la Sala Santa Rita a Roma, dove gli spazi della vecchia chiesa sconsacrata si trasformano grazie al dialogo di Elizabeth Aro e Silvia Levenson in Rehenes/Ostaggi a cura di Alexandra Gracco e Giulia Giovanardi, in collaborazione con Presentecontinuo, la Casa Argentina e Zètema Progetto Cultura.
Conosciutesi cinque anni fa, le due artiste (entrambe originarie di Buenos Aires) avevano già collaborato a vari progetti, tra i quali il ciclo di mostre dal titolo Ospite inatteso, in collaborazione con l’Associazione Big Bang, da loro creata assieme a Natalia Saurin e Guido Anderloni nel 2010. Un sodalizio consolidato, quindi, al quale «mancava solo una mostra da realizzare assieme, confrontandoci» come racconta Elizabeth Aro.
Come suggerisce il titolo, il tema della mostra è quello dell’ostaggio, che vuole essere un riferimento alla nostra condizione di coercizione nella società contemporanea. Fondamentale, oltre alla capacità di relazionarsi con lo spazio, è l’uso dei materiali, tratto distintivo che ne distingue le caratteristiche originali pur rendendole simbiotiche nella propria alterità. «Per me il tessuto ha un background che simboleggia parte delle cose che voglio raccontare con le mie opere: l’elasticità come se fosse la pelle, la morbidezza come se fosse un frutto, la leggerezza. Sono tutti aggettivi che voglio consciamente incorporare nel mio lavoro» racconta Elizabeth Aro. Il velluto, il tessuto broccato – materiali cari all’artista – delineano i tratti di Branches II e Todos los fuegos, el fuego che rispondono alla fragilità del vetro utilizzato dalla Levenson con la carica esplosiva tipica del fuoco.
Si è ostaggio, anzitutto, dei sentimenti e delle relazioni sociali: l’installazione Forever Happy riproduce un ambiente domestico quotidiano; avvicinandosi, però, ci si rende conto che il vetro è ricoperto di spilli. «Nel caso del vetro, lo uso nel mio lavoro perchè da una parte è un materiale ambiguo: resistente e fragile allo stesso tempo, storicamente è satato usato per “abbellire” le case», racconta Silvia Levenson. «E’ un materiale con una connotazione di arte apliccata, in un certo senso “bassa”. Un pò come quello che è successo con le donne artiste. Oggi nessuno si sognerebbe di dire ad una artista che non può partecipare ad una mostra “in quanto donna”, ma questa realtà è storicamente recente. Per questo uso un materiale – un tempo atto a realizzare oggetti decorativi – per raccontare quello che succede nelle case».
In Still Life la Levenson denuncia la cosmesi di una felicità perfetta a tutti i costi, sostituendo i contenitori di creme e profumi con gli “antidoti” della società moderna (medicine, tranquillanti…). Come si pone l’artista in relazione a questo tipo di società? «Non credo che il contesto dell’arte sottometta l’artista a delle costrizioni. Credo che il sistema dell’arte in una società capitalista abbia delle regole abbastanza precise, anche se gli artisti per primi creano dei mondi all’interno dei quali si muovono», risponde Silvia; «sono d’accordo con Elizabeth nel dire che l’arte non è il risultato di una sola mano, di una sola idea».
È possibile superare questa condizione di costrizione? «Personalmente credo che la condizione di coercizione la creiamo noi stessi, di questo parla Rehenes de un pensamiento» spiega la Aro. «Le cose non hanno necessariamente solo un punto di vista, anche se spesso ci convinciamo che lo stato delle cose è uno solo, quando invece tutti i fatti e anche ricordi della nostra vita hanno interpretazioni diverse in diversi momenti».
Il 6 dicembre alle ore 18.30, in occasione del finissage della mostra, le artiste incontreranno il pubblico per presentare il catalogo.
Alessandra Caldarelli
dal 14 novembre al 6 dicembre 2013
Rehenes/Ostaggi
Elizabeth Aro, Silvia Levenson
Sala Santa Rita
Via Montanara, 8 – Roma
Orari: martedì – sabato 11.00 – 19.00