Oltre cinquecento opere – tra oli, sculture, ready made,
assemblaggi, collage, disegni automatici – ripercorrono la nascita e la
trasformazione dei manifesti e delle principali mostre di Dada e Surrealismo.
Lo spazio espositivo è denso di quella voglia di rifiuto e capovolgimento della
tradizione che quegli artisti vollero evidenziare nelle loro creazioni.
La mostra si apre, giustamente, con un omaggio ai
precursori come
Chagall,
de Chirico,
Duchamp,
Kandinsky,
Klee,
Klinger,
Moreau e
Munch, per poi dividersi in percorsi
concettuali e visivi che seguono le due avanguardie, ma che non si distaccano
completamente l’uno dall’altro, richiamando l’idea di contiguità tra movimenti
artistici tanto diversi, ma poi non così lontani.
Il concetto fondamentale che attraversa la rassegna è
quello della riscoperta. Una riscoperta che parte dalla scelta degli artisti in
esposizione. Tra i dadaisti, la volontà è stata di riprendere coloro che hanno
partecipato alla prima collettiva
Erste Internationale Dada-Messe, inaugurata il 5 giugno 1920 alla
Galleria Otto Burchard di Berlino. Mentre, sul piano surrealista, il percorso regala
le opere di coloro che hanno preso parte ad almeno una delle sei mostre
promosse da
André Breton: da quella alla Galerie Pierre di Parigi del novembre 1925 all’ultima
collettiva,
L’Écart absolu, nella cornice della Galerie L’Oeil di Parigi nel
dicembre 1965.
Testimonianze interessanti per lo spettatore, che scopre
un mondo variegato e anche sconosciuto, lontano dai soliti “classici” che si
possono scovare nei libri che parlano delle due correnti.

Interessanti gli
insert di
Pablo Picasso (
Baigneuse, 1928;
Sur la plage, 1933;
Tête, 1939) o di
Alberto Giacometti (
Femme cuillère, 1927;
Woman, 1928;
Man, 1929), artisti visti in una
“luce” nuova. Entrambi hanno partecipato a mostre collettive sul Surrealismo,
lasciando un’importante impronta. E poi un inedito
Jackson Pollock, il maggiore rappresentante
dell’Espressionismo astratto e dell’Action Painting, che deve questa sua ultima
e più duratura stagione all’influenza di
André Masson e
Max Ernst, che conosce nel 1942 e dai quali
adotta la tecnica surrealista della pittura automatica:
dripping, ovvero sgocciolatura. Da qui il
suo
Square composition with Horse (1934-38).
Ciò che però stona è la scelta di allestire alcune opere
una sopra l’altra su una stessa parete, a volte troppo in alto. Una
disposizione che impedisce di cogliere particolari importanti. Dettagli carichi
di significato, che non possono e non devono sfuggire allo sguardo.

All’osservatore non resta, dunque, che lasciarsi
trasportare nella visione del sogno o nell’anti-arte che i due movimenti, da
una parte e dall’altra, possono offrire. Perdendosi ne
L’ombra di
Picabia o
salendo fino a
Il castello sui
Pirenei di
Magritte.