Dal buio, chiare sottovesti emergono, camuffando le forme acerbe ritratte da
Serena Nono (Venezia, 1964). Vessilli di un candore assoluto quanto impossibile. L’oscurità incombe, archetipo della
substantia nigra; metafora junghiana dell’inizio di un percorso che, attraverso i vari stati della trasmutazione psichica, approda faticosamente al Sé.
Magma di alterità perturbante, nel ciclo di oli su tela la
nigredo si oppone al luminoso splendore della coscienza e della razionalità. Contamina la pelle adolescente, s’impiastriccia con tessuto e colla, gocciola sulle pieghe dei nivei panneggi che richiamano quelli di
Tintoretto (incarnazione di luce spirituale in antitesi ai toni bassi dell’immanente). Invade a pennellate dense, materiche un territorio pregno di intime sospensioni.
Nella tavolozza dell’artista, rare tracce di rosso (conflitto) e blu (aspirazione) sulle labbra e tra i capelli delle
Figure; brividi fulgenti che sottraggono potere all’untuoso bruno dominante.
Hanno le ragazzine di Nono un’espressione in bilico fra il timoroso e l’inquieto, che sgorga, rivela l’artista, “
dalla contrapposizione tra l’emozione e l’indumento” (vecchie cose riciclate senza alcun significato affettivo). Sono donne
in nuce, sul punto di dare inizio alla metamorfosi della libido in fantasia e della pulsione psichica in consapevolezza creativa. La biancheria ornata di ricami, ruche e volant può rappresentare un’immagine di elaborazione della sfera emotiva in intuizione estetica.
Nessun dolore lacerante, in loro, nessuna nostalgica apprensione; velata coscienza della rottura di un equilibrio platonico, condizione ineludibile del divenire, minaccia prossima: l’accadere è incominciare a essere o uscire dal niente. E ancora,
sense of wonder come riflesso del primo incontro con la propria ombra, lato oscuro interiore, sotto e dietro la maschera. Per l’incessante alternarsi di ritmi – negativo e positivo, di perdita e di guadagno, di luce e di tenebra – è una costruzione enantiodromica quella della pittrice. “
Il contrasto non è solo quello cromatico del bianco/nero, ma riguarda anche le emozioni”, afferma.
Una galleria al femminile di sguardi e non sguardi, densi di interrogativi e/o di assenze (c’è chi fissa frontale, chi sbircia di sottecchi, chi ha il capo chino, chi è di profilo o di spalle). Costante: il volto turbato dall’incertezza. È analogo, nella mimica, a quello della giovanissima modella di
Munch in
Pubertà.
Nelle figure di Nono, però, non c’è rassegnazione. Le braccia che lì s’incrociavano tra le ginocchia, simbolo di una resa a divieti fitti di censure, qui, all’apice di una tensione a stento trattenuta, che sa di ribellione, si allungano fuori dallo spazio pittorico. Verso un vuoto carico di promesse.