È la prima volta, nella recente storia del Museo Bilotti, che viene coinvolto lo spazio esterno dell’ex Casino dei Giochi d’acqua. È di scena la luce e la sua energia, plasmata da
Chiara Dynys (Mantova, 1958; vive a Milano) in forme dal forte valore simbolico. Si tratta di un lavoro articolato in “
quattro brani visuali”, come ha spiegato Gianluca Marziani. Aureole, bersaglio, frecce e diamanti: questi gli elementi scelti da Dynys che, vivificati dall’impiego della luce, rischiarano il buio della notte di Villa Borghese.
Le aureole, cerchi di luce al neon, sembrano galleggiare nell’oscurità, avvolgendo la chioma di alcuni alberi, rappresentanti secolari di una natura intrinsecamente sacra. Il bersaglio, costituito da un magnete ottico, nelle parole di Marziani “
assume il ruolo di felice archetipo del pensiero ritrovabile, dell’anelito a un centro che la morale spesso disperde oltre i bordi”.
Sul balcone sopra il portone d’ingresso, come un moderno e tecnologico blasone, si ergono tre frecce luminose, orientate in diverse direzioni; forse è questo l’intervento che pienamente riassume il senso del progetto dell’artista mantovana, l’esortazione a volgere il pensiero verso l’alto. Le uniche presenze tangibili e terrene sono i diamanti in acciaio a specchio, posti sul suolo antistante l’ingresso, ai cui angoli piccolissimi led creano una costellazione luminescente sulle superfici sfaccettate. La purezza e l’enigmaticità della forma rievoca, secondo Maurizio Calvesi , l’alchemica pietra filosofale.
Il progetto di Chiara Dynys appare dunque fortemente nutrito di significati metaforici. La partizione in quattro momenti allude ai punti cardinali e innesta rimandi a coppie di opposti: materialità (uso di oggetti semplici, per lo più figure geometriche) e spiritualità (valore simbolico delle forme); apertura verso l’esterno (frecce, bersaglio) e tensione centripeta (aureole, diamanti).
Elemento fondante nella ricerca di Dynys, la luce, protagonista assoluta della alla Rotonda di via Besana a Milano, è ancora in questi lavori generatrice di uno spazio ma, a differenza dei precedenti, si realizza attraverso il potenziale evocativo di forme-modello, di archetipi. Il titolo scelto è dunque anch’esso un indicatore da interpretare.
In alto è la direzione che l’occhio deve seguire per fruire le opere, che sono fisicamente poste in spazi sopraelevati, installate sul balcone e sul terrazzo dell’edificio.
Ma è ancora più in alto, in un senso dunque metafisico, che il nostro sguardo dovrebbe orientarsi; la presenza discreta di queste strutture simboliche non aggredisce e non s’impone al pubblico in maniera autoritaria. Esse parlano a chi ha voglia di fermarsi un attimo, di osservarle e di farsi guidare in una dimensione contemplativa ed estatica, seguendone la scia luminosa.