“
Ai giovani che sembrano talora subire influenze, vorrei consigliare l’osservazione dal vero, ma attraverso una commozione sincera, cioè lirica”. Con queste parole, pronunciate nel 1935,
Filippo de Pisis (Luigi Filippo Tibertelli; Ferrara, 1896 – Milano, 1956) indicava chiaramente i dettami della sua arte: indipendenza assoluta da ogni ideologia, da ogni programma precostituito, e totale libertà concessa ai sentimenti.
Pur avendo formato insieme a
de Chirico e
Carrà, nel 1917, il nucleo della “scuola metafisica”, l’artista rimase sempre un vero e proprio cane sciolto, senza farsi mai condizionare nelle sue scelte. Si lasciava andare con grande naturalezza alla soggettività dei propri occhi, sempre pronti a scrutare il mondo circostante o, per dirla con più poesia, a fare l’amore con i colori e le forme della realtà. De Pisis era un artista indipendente, originale, il cui stile venne definito da Montale “
pittura a zampa di mosca”, proprio per il movimento sincopato caratteristico dei suoi tratti.
Non solo pittore ma anche poeta apprezzato, de Pisis fece della propria sensibilità una bandiera, sia attraverso le tele che per mezzo delle parole. Grande parte ha avuto nella sua ricerca artistica lo studio della natura morta (si veda
Natura morta con pomidori e limoni o
Natura morta marina con foglia e banana, entrambe realizzate negli anni ’30): i fiori, la frutta, le piante erano gli strumenti privilegiati attraverso i quali il suo stile prendeva vita.
Ma trovarono spazio nelle sue tele anche i paesaggi delle città in cui visse e si trovò a lavorare: le strade, i palazzi, la gente vengono reinterpretati attraverso il filtro della memoria e della malinconia. Straordinarie a questo proposito sono
Piazza S. Trinità a Firenze (1935) e
Demolizioni a Milano (1941), in cui le pennellate restituiscono l’intima vitalità cittadina, espressa non solo dalla gente ma anche dalle cose. Anche l’uso del colore (il giallo oro, il blu di prussia, il rosso intenso, gli innumerevoli toni del verde), in cui de Pisis era un maestro, concorre a incrementare lo spessore emotivo delle immagini che ritrae, donando loro un senso di felicità e, al tempo stesso, di nostalgia per il passato.
Non sono immagini disegnate in modo preciso quelle che l’artista ferrarese produsse nella sua carriera di pittore; sono piuttosto evocazioni, poetiche riflessioni che rifuggono dal classicismo e danno spazio all’emozione. Del resto, anche le cose più umili riuscivano a emozionarlo: il linguaggio figurativo di de Pisis, anche se ridotto all’essenziale e all’apparenza fragile, restituisce agli occhi di chi guarda una grande forza, un impeto di lirismo che non può non sorprendere.
Ricercava i significati reconditi degli oggetti e dei volti che prendeva a soggetto dei propri quadri, come se si aspettasse sempre di rivelare ignoti segreti. Forse fu proprio questa la sua grandezza: la capacità di stupirsi continuamente, in un’eterna fame di emozione.