Un itinerario in quindici tappe, attraverso Manhattan, protagonisti incombenti gli edifici, le loro facciate che conquistano lo spazio fisico e occupano quello fotografico-pittorico. I corpi animati sono assenti. Le strutture diventano così, per
Riccardo Pocci (Piombino, 1972), le vere, silenziose protagoniste. Teorie di finestre, sequenze irrisolte in un alveare artificiale:
Legno Metlife. Ma ecco irrompere sulle linee senza soluzione il punto di vista, l’elemento dietro il quale s’irradia lo sguardo: in
Rock Lamps, un semaforo, quasi una trasmissione in codice diretta all’universo vivente che si agita dietro la stretta trama delle finestre. Il punto d’osservazione può però provenire anche da interni lussuosi, anonimi, luminosi, in cui sono ancora ampie vetrate a consentirci la connessione verso l’esterno (
Open to public). Ma sono senza dubbio gli alberi, le contorsioni casuali dei rami che si frappongono, con assoluto privilegio, all’osservazione (
Lymphatic); un filo spinato è quello che circonda
CMYK e che cattura le immancabili sequenze metalliche di una scala di sicurezza.
Pocci si muove dalla fotografia alla pittura sfruttando a pieno la sua formazione in psicologia della percezione. Una sorta di traslitterazione pittorica che svela i fenomeni della visione, l’angolo soggettivo della percezione, l’interpretazione tutta individuale dell’osservazione. Attraverso una tecnica originale, la sperimentazione continua. Pocci scambia trama e ordito, positivo e negativo, il supporto di cartone nero si trasforma nell’arteria capillare dei rami,
CMYK draw, attorno a questa il colore, la pittura. Nella traduzione di Pocci dalla foto al dipinto è come se il manufatto in cemento crescesse attorno all’albero, il quale altro non è che una porzione dell’originale supporto di base. Non è un gioco di prestigio.
L’interazione della percezione visiva e di quella emotiva, l’illusione ottica è al servizio di una visione altra, non più fallace esito da cui guardarsi ma indispensabile strumento conoscitivo per accedere a una prospettiva diversa, altrettanto reale nel multiforme riflesso degli eventi sulle nostre emozioni. In ogni caso, la sequenza fotografica originaria, presente alle nostre spalle, gli scatti reali, ci soccorrono quando l’illusione percettiva sembra confonderci.
L’altro filo conduttore di questo percorso attraverso la Grande Mela è la selezione dei materiali, spesso poveri come il legno usato nei cantieri, desueto come il cartoncino bristol, recuperato da attività primarie come i bancali e i pallet. Essi diventano attori principali, che si rivitalizzano nell’intreccio dialettico con il colore, con la pittura. Riemergono forti, solidi: esplicita sintassi del lavoro artistico.
Voi siete qui ne è l’esito più felice, l’immagine riflessa del mondo, un’America che tramonta a Oriente. È il legno fibroso del pallet a rappresentare le terre emerse: una giovane Africa e la forza prorompente dell’Asia.