Inizia con un workshop (si è svolto lo scorso dicembre dall’1 al 15) e finisce con una mostra: è Prototipi.01 (a cura di Stefano Chiodi e Bartolomeo Pietromarchi), progetto in due fasi, dedicato alla giovane generazione dell’arte Italiana, che è oggetto di critiche, analisi, previsioni, non ultima quella – espressa qualche anno fa, ma ripresa in una recente intervista pubblicata su Flash Art – di Francesco Bonami, a proposito della difficoltà di fare i conti con due genitori piuttosto ingombranti, Arte Povera e Transavanguardia.
Evitando alberi genealogici e le questioni relative al ‘peso’ inevitabile dell’eredità, ci limitiamo ad osservare come le esperienze di alcuni giovani artisti rimangano inevitabilmente in superficie, soprattutto quando delegano interamente alle possibilità del mezzo l’efficacia dell’espressione o quando al contrario sembrano chiudersi in una sorta concettualismo, che sfocia nella caricatura.
Instabili, inafferrabili, perché presenti e difficili da inserire in una prospettiva già assestata, questi nuovi prototipi sono i risultati di sovrapposizioni, di continui cambiamenti; un progetto come quello proposto presso la Fondazione Olivetti può diventare un momento di confronto e di scambio: durante il workshop i giovani artisti hanno incontrato e discusso a proposito di aspetti teorici con critici e curatori
Della protagonista del video di Nicoletta Agostini (Nice to meet you, 2001) non vediamo il volto, ma sentiamo la voce: ripeterà, senza mai interrompersi, una serie di frasi in inglese, il classico campionario di saluti e convenevoli, i primi frammenti di una lingua che si tenta di imparare, controllando in modo ossessivo la correttezza della pronuncia; seduta a cavalcioni di una sedia, senza cambiare posizione, pare perdere poco a poco l’identità di persona per somigliare ad un semplice incastro di forme e colori (nero dei suoi vestiti, bianco della sedia e del fondo).
Heidrun Holzfeind racconta Corviale in un video semplice, ma molto riuscito: sono gli stessi abitanti del quartiere a parlarne (mentre appaiono i sottotitoli in inglese) e la realtà del serpentone di cemento prende forma, alla larga dai luoghi comuni, in un collage ben saldato, fatto di voci, di battute, cortili, di palestre, di bar, di grigio… Vorkuta è l’installazione presentata da Micol Assael: una cella frigorifera aperta e accessibile. Dentro troveremo una poltrona imbottita riscaldata, il ronzio di sottofondo del motore, interrotto dal suono e dal guizzo luminoso di minuscole scosse elettriche, quasi un segnale ricorrente di vita, una sorta di speranza periodica.
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