Non un’antologica, né un amarcord. Quello che emerge è l’aspetto più attuale della produzione di Carla Accardi. Così nonostante questo sia il primo allestimento dedicato all’artista in un museo romano (a parte l’omaggio al Museo Laboratorio dell’Università La Sapienza del 2000), la mostra non ripercorre tutto l’iter creativo, ma si concentra su un periodo relativamente prossimo.
Vengono omessi gli anni di Forma 1, i monocromi degli anni ’60, i decorativismi matissiani, il suo originale linguaggio segnico. Il percorso invece parte dagli anni ’70 con i quadri in sicofoil (molti dei quali inediti), che occupano una delle quattro sale allestite. Il materiale usato, queste tele in plastica, è teso su veri e propri telai a ribadirne contemporaneamente la forma e l’essenza: l’essere un quadro. Ma del quadro strictu senso cosa rimane? Il colore, assoluto, steso a grandi pennellate dense e compatte. A volte il sicofoil viene tagliato a strisce per brevi tratti sovrapposte, in cui la superficie trasparente crea una sorta di tridimensionalità e di movimento. Quadri simili li ritroviamo in un’altra sala, dove al centro è posta una casa labirinto in plexiglass, percorribile. Le pareti della struttura sono dipinte con rapidi accenni di colore nero in cui sguardo si perde. I quadri in sicofoil alle pareti sono tutti sulla stessa tonalità di grigio: virgole di colore sembrano riprodurre degli stormi, il cui movimento è accentuato dalla sovrapposizione dei fogli, questa volta usati interi.
Di tutt’altra cromia è l’altra ala della mostra, che raccoglie opere datate anni ’90 e 2000. Altre due sale, una con alti coni in ceramica disposti a terra: la materia è sfruttata al massimo nel suo rifrangere luce e dare brillantezza ai colori accesi. Ed è come se le sculture fossero impacchettate, ben confezionate in una carta di vernice splendente. Alle pareti quadri in vinilico su tela, supporto mai abbandonato dall’artista: anche qui i toni sono molto accesi e in forte contrasto, sul fondo si stagliano riquadri decorati con segni zoomorfi, altre volte arabizzanti.
Infine la sala con 15 disegni a china su carta realizzati appositamente per MACRO: svolti come una sorta di metopa che si srotola per 12 metri che avvolge lo spazio, sono allo stesso tempo decorazione e segni in movimento. E poi ancora tele in vinilico, una per tutte Quattro colori, che cita con leggerezza tanto Nicola de Maria quanto la sintesi grafica di Keith Haring.
Opere recentissime, che in qualche modo però si ricollegano col passato: “il quadro, la scultura sono mezzi d’espressione, il quadro deve poter servire anche come complemento decorativo di una parete nuda, il fine dell’opera d’arte è l’utilità, la bellezza armoniosa, la non pesantezza.” Diceva proprio così il Manifesto di Forma 1.
valentina correr
mostra visitata il 28 settembre 2004
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