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La galleria Magazzino ci svela un inedito Massimo Bartolini con opere esclusive che conducono l’osservatore in un viaggio a metà tra la presenza e l’assenza, tra il metafisico e il fisico. Simboli e forme vengono decontestualizzate e destrutturate per essere reinterpretate attraverso l’astrazione e la riflessione del fruitore attento. Questa caratteristica della “presenza/assenza” ritornerà per tutta la mostra e sarà resa dalla figura del Bodhisattva, una figura del culto Buddhista, la cui natura intima si configura con il “risveglio”, o meglio “colui che cerca di conseguire il risveglio”. Una figura importante, illuminante, la quale rinuncia alla divinità per insegnare agli uomini la retta via, verso quella spiritualità alla quale lui per primo ha rinunciato. Un insegnamento fatto di racconti e di esperienze che evocano immagini e riflessioni, questo è il fulcro della mostra desumibile anche dal titolo in cui ritroviamo il passaggio del libro di Daniele Del Giudice: “Non aver bisogno di raccontare è l’unica cosa che incrina la felicità del vedere oltre la forma”.
In comunicazione al Bodhisattva c’è la figura dello Stilita, colui che decide di estraniarsi dal mondo vivendo come un eremita alla sommità di un pilastro affermando che “se non fosse potuto fuggire dal mondo in orizzontale lo avrebbe fatto in verticale”. Quest’immagine viene resa in maniera stilizzata attraverso una composizione di assi cartesiani. Raziocinio e immanenza che si scontra con la figura in cima del Bodhisattva che appare e scompare in pochi attimi, sinonimo della fugacità e intangibilità spirituale. La mostra prosegue in continui rimandi e destrutturazioni come per esempio la colonna trasformata nella canna di un organo che invece di sostenere mette in comunicazione soffitto e pavimento, il suono che emette è quello di una macchina devozionale cristiana, a questa allusione architettonica fa da coro il monocromo alle se spalle, una finestra il cui velo cela un velo identico. Un rimando alla forma attraverso una forma fondamentalmente uguale.
Massimo Bartolini, Pensive Bodhisattva, 2017
In My Seventh Hommage l’artista rappresenta un Golgota abbandonato in cui la croce è solo immaginabile, la struttura della montagna coincide matematicamente con i quattro punti cardinali. L’immagine rimanda anche alla forma del cranio, alle sue nervature; è testa e monte allo stesso tempo, è ritratto e paesaggio inscindibili. Altre opere traggono ispirazione dal libro Diario di Witold Gombrowiez. All’interno del libro le glosse a malapena lasciavano spazio al testo scritto e prima di disfarsi del testo, il glossatore anonimo, aveva provveduto a cancellare il proprio nome e a strappare le prime quattro pagine del libro. Bartolini ha deciso di dare nuova vita alle glosse riscrivendole in maniera leggibile, donando loro quella proprietà tangibile e immanente alla parola, similmente a un archeologo quando dona nuova luce a un reperto appena scoperto. Il glossatore ignoto viene metaforicamente rappresentato attraverso i lavori in stampa che fanno da cornice al libro esposto, un’immagine dell’esteriorizzazione del proprio “io” che costituisce, nella prima fase dell’iter del Sakyamuni, il viaggio verso la consapevolezza del sé, che passa per la figura del Bodhisattva. Il viaggio si conclude con le forme destrutturate di oggetti comuni reinterpretati, estraniandoli dalla loro proprietà solida e rendendoli oggetti astratti, come per “Cage”, bianchi e ritmici monocromi ricavati dalle sezioni di una gabbia per uccelli.
Valentina Muzi
mostra visitata il 10 dicembre
Dal 29 novembre 2017 al 9 febbraio 2018
Massimo Bartolini
Atlante Occidentale, Daniele Del Giudice, Einaudi Tascabili, 1998, p.78
Magazzino
via dei Prefetti, 17 Roma
Orari: da martedì a sabato dalle 11:00 alle 20:00
Info: www.magazzinoartemoderna.com