Come sovente accade per i film di Elisabetta Benassi, gli elementi che incorniciano le immagini sono parte integrante dell’opera, rimangono sospesi per stabilire da subito una tensione, ricompaiono come eco del senso di vaghezza ereditato dalla visione. Qui, in una teca incastonata nella parete nera, all’ingresso della sala di proiezione, sono esposti un paio di occhiali da lavoro, spessi e traslucidi. Viene così evocata una delle due figure dell’opera, la vista; l’altra sono i motomen, macchine ibride di uomo e lamiere. Tra questi due attori si instaura la storia di un’insolita rottamazione, all’apparenza tragicamente involontaria.
All’inizio del video appare un quadro di Brueghel, posto come orizzonte totale, con la macchina da presa che lo percorre come se fosse il mondo o una sua allegoria: è la Parabola dei ciechi, girotondo fallimentare per la caduta del capofila. Poi uno zoom out mostra l’immagine per quella che è, un poster appeso alle pareti di un ufficio caotico, franto nella sua geometria tridimensionale dall’accumulo di materie, oggetti, depositi, solcato dai raggi di luce come l’interno di una cattedrale (e in generale, guardando il video sembra di muoversi tra le macerie di grandi rappresentazioni enciclopediche dell’ordine universale).
Da lì la macchina da presa continua a indietreggiare, fino a svelare il luogo: uno sfasciacarrozze, con la sua mostra di frammenti meccanici ordinati per specie, in una babele morta di pezzi. Tra i rottami giacciono anche i motomen , motociclette con corpi umani destinate alla demolizione: presto uno dei corpi viene sollevato e deposto nella pressa, attivata da un addetto che indossa occhiali uguali a quelli esposti. Attraverso di essi l’uomo assiste e riconosce la strage. Un corvo nero, che cita Pasolini e la sua presenza già occorsa nell’opera di Benassi (come la presenza delle moto, peraltro), chiude il breve filmato.
L’ibridazione tra organico e inorganico, più ancora la rappresentazione dell’umano innestato da parti meccaniche che esprimono innazitutto la loro genesi ideativa, non è certo nuova, e citando Crash il curatore Maraniello suggerisce solo uno degli ormai innumerevoli riferimenti. All’artista, però, non interessa l’aspetto cyber: i motomen sembrano piuttosto figure di una mitologia molto umanistica, per quanto tragicomica; si tratta di esseri di natura mista – con la tecnica al posto dell’aspetto animale – colti nell’attimo di una separazione che si rivela impraticabile. La percezione vaga di ciò, surreale e onirica (stando almeno alla musica e al montaggio), innesca la consapevolezza dell’artista, impossibilitato a sbarazzarsi di questi giorni già usati, con tutto il loro carico di errore.
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bell'articolo ma, in sostanza, bello, brutto o mezza via?