La prima reazione è fisica. Lo spettatore è invitato a camminare sui circa 6mila volumi, alcuni della fine del XIX secolo, ma la maggior parte dagli anni ‘60 in poi. Fra i titoli, oltre ai classici della letteratura russa e ceca, anche Moravia, Forattini, Leopardi. I libri sono accostati, tessere che creano una superficie movimentata, tutta alti e bassi. Il pavimento dello spazio espositivo che ospita
Egalité, prima personale italiana dell’artista ceco, con
Passage si trasforma così in una biblioteca orizzontale. Un lavoro sui libri, quindi, che si riallaccia a quello realizzato nel lontano 1972 da
Daniel Buren.
Martin Zet è nato a Praga,
forse nel 1959, poiché in ogni occasione inventa una nuova biografia. “
Però è vero che quando ho compiuto 42 anni la mia data di nascita è diventata famosa”, afferma enigmaticamente. E da Pio Monti attinge ai libri di famiglia, recuperando anche parte di una biblioteca pubblica per esprimere un concetto di uguaglianza, intesa come livellamento e con la possibilità di misurazione. In questo contesto, poi, la messinscena si connota anche di una concezione temporale: “
Il libro, così come lo abbiamo conosciuto, è un mezzo destinato a scomparire, come l’impero romano”, spiega l’artista.
L’uguaglianza assume connotazioni fisiche, è un principio che ha varie scale di riferimento, come nelle tre immagini fotografiche dove la mano dell’artista diventa modulo: il dito come la colonna del Foro oppure il dorso che diventa parte del tronco di un albero, orizzonte di un paesaggio. Zet intreccia la propria vita privata con il lavoro -il tutto farcito con una sana ironia- come appare nei due video proiettati nel labirintico spazio inferiore della galleria, dove il suo corpo diventa pennello e quello di altre persone lettere dell’alfabeto.
Allo stesso modo, nella sede di via dei Cartari, aperta per l’occasione, è l’odore dei 160 litri di petrolio contenuti nel barile a introdurre il visitatore al percorso, anche qui sotterraneo, tra oggetti “recuperati” e riempiti di piombo fuso. Oggetti impiegati da Zet in lavori precedenti oppure ereditati, trovati o rubati. “
L’oggetto non è usato tanto come icona, quanto nella relazione tra contenuto e contenitore”, spiega il curatore Marco Scotini.
Prima questi oggetti erano pieni di componenti diverse: “
Il barattolo era pieno di miele; nel casco c’era la testa, nel guanto la mano”, continua Zet. “Non ho fatto alto che riempirli con lo stesso materiale per riportarli allo stesso statuto. Il piombo è una materia che per me rappresenta la sordità, perché battendoci sopra il suono muore. Questi oggetti affogati in una materia che non risponde più, quindi, sono persi completamente, come risucchiati dall’oblio. Sono dei ruderi, proprio come i libri della biblioteca orizzontale”.