Torna con una personale a Roma dopo trent’anni
Jan Dibbets (Weert, 1941; vive ad Amsterdam e a San Casciano dei Bagni, Siena), fra i protagonisti della nascita dei grandi movimenti della Conceptual, Minimal e Land Art alla fine degli anni ’60. È da queste radici che si sviluppa da più d’un quarantennio la sua ricerca artistica, che sembra appartenere a tutte le correnti ma a nessuna esclusivamente. La partecipazione alla rassegna
When attitudes become form del 1969 a Berna segna il carattere intrinseco di tutto il lavoro di Dibbets.
Ciò che rende “concettuale” la sua opera è il ruolo fondante attribuito all’idea, al progetto più che all’opera prodotta, e la costante indagine sulla natura dell’arte e sull’esperienza artistica. Le sue opere nascono come risultato di un processo innescato, come nel caso dell’installazione realizzata alla Galleria Loher di Francoforte nel ‘67, dove Dibbets – di cui
Richard Long è stato maestro – ha costruito forme geometriche semplici con acqua e polvere, documentandone fotograficamente la progressiva distruzione.
Da questo terreno artistico l’olandese sviluppa coerentemente un proprio progetto, che non prevede appunto appartenenze o classificazioni riduttive. Negli anni si è dimostrato costante e centrale il ricorso al mezzo fotografico per lo sviluppo di una ricerca incentrata sul problema della percezione e dell’illusione dei sensi. Dal 1969 nascono le
Correzioni prospettiche, dove l’azione artistica si realizza nell’ingannare l’occhio solo attraverso l’azione dello strumento ottico-meccanico. L’indagine di Dibbets però svela il trucco, ponendo a confronto la figura irregolare dipinta sul muro e il risultato corretto, ma impossibile, stampato su carta: si tratta di una riflessione meta-artistica, rivolta dunque non all’oggetto ma allo strumento stesso della visione.
In mostra a Roma è ospitata una selezione di opere realizzate fra la seconda metà degli anni ’80 e oggi, e accomunate dalla tecnica utilizzata. Di grandi dimensioni, le tele o i supporti in cartoncino sono perlopiù di forma quadrangolare; i fondi monocromi, generalmente scuri, sono dipinti ad acrilico o acquerello. Squarci di paesaggio o di architetture irrompono dal buio. Sono fotografie ritagliate e incollate, frammenti d’inquadrature, nuovi spazi decontestualizzati e ricreati.
Colpisce all’ingresso un celebre lavoro,
Guggenheim III: una serie di fotografie, leggermente sovrapposte si susseguono, delineando una spirale e ricostruendo nell’insieme il celebre spazio elicoidale costruito da
Frank Lloyd Wright. L’immagine acquista così una doppia profondità della visione e cattura lo sguardo nel vorticoso avvilupparsi della forma.
In altri lavori l’immagine è ritagliata in forme circolari o ellittiche, che offrono scorci inconsueti di città come Amsterdam o di spazi urbani come il Palacio Güell, attraverso i quali Dibbets persegue la sua indagine sui meccanismi percettivi, portandola a effetti ancor più radicali. Come osserva Bruno Corà, “
il risultato è una vertigine”.
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la mostra sarebbe potuta essere interessante se l'assistente di galleria avesse concesso di visitarla. al momento di entrare, siccome lei stava uscendo, fisicamente si è stati messi alla porta su cui, a rimarcare il gesto, è stato messo un laconico post-it con un lapidare "Torno subito!". signori si nasce ... assistenti di galleria no. e per fortuna anche nell'arte esiste la selezione naturale per cui chi non è in grado pufff sparisce!
Cara Daniela, hai ragione anche nell'arte esiste la selezione naturale e quell'assistente di galleria sgarbata di cui parlavi tu non c'è più! Sono stata a vedere la mostra e l'ho trovata molto interessante, opere bellissime valorizzate dallo spazio espositivo della galleria. Ti consiglio di ritornare perchè ne vale la pena.
Buongiorno,
proprio ieri mi sono recato presso la sede di Gallerja in Via della Lupa ed ho trovato la mostra di Dibbets bellissima e molto interessante.
Ho trovato una nuova assistente molto gentile e competente.
Complimenti alla galleria per i bellissimi spazi e sopratutto per la mostra.
Gianluca