Una mostra che si fa tutt’uno con la sua appropriatissima sede espositiva, l’antico Mausoleo di Adriano, e che si protende verso il resto della città, ponendosi come prima tappa di un percorso attraverso Roma e oltre. Da qui l’invito a rintracciare monumenti di epoche e stili diversi, frutti di una contaminazione bimillenaria fra cultura romana ed egizia.
Il momento iniziale di questo gemellaggio è la battaglia di Azio nel 31 a.C., un evento che segna da un lato l’assoggettamento dell’Egitto da parte di Roma e dall’altro l’inizio di una penetrazione pervasiva dell’influenza egizia nell’arte romana. Influenza accorta, come se fosse ispirata da un pensiero strategico, passando prima attraverso divinità come Iside, forza rigeneratrice della natura, portatrice di benessere non solo per il popolo egizio ma per tutti gli uomini, e seducendo poi l’imperatore Adriano, al quale ispirò monumenti, ville e città.
Antinoo, il giovane amato dall’imperatore, diventa il simbolo di un fruttuoso sincretismo, assumendo in scultura le fattezze di Osiride e Dioniso; nella Villa di Tivoli, da cui provengono alcune delle opere esposte, prende forma il ricordo dei luoghi visitati, come la festosa città di Canopo; in mezzo al deserto egiziano sorge Antinopoli, la città dedicata all’amato morto nel Nilo, e della quale si possono ancora scorgere pezzi di colonne romane in mezzo alla sabbia.
Ai templi poco a poco si sostituiscono le chiese e in esse prendono posto sfingi, fenici, leoni, richiami questa volta di un Egitto biblico. Soggetto egiziano e stile tipicamente gotico, medievale si fondono in una scultura di
Pascalis Romanus, una sorta di piccolo ossuto gargoyle accomodato nella posa della sfinge. Un volume di fine Cinquecento di
Domenico Fontana,
Della trasportazione dell’obelisco vaticano, offre un’idea dell’intensa attività e della fatica che ha portato Roma a essere oggi la prima città al mondo per numero di obelischi.
L’Egitto trova nella città della lupa non solo un prestigioso contenitore, ma una cassa di risonanza verso il resto del mondo: il fascino esercitato su
Nicolas Poussin dai simboli egizi presenti a Roma si manifesta in un
Riposo dalla fuga in Egitto che ha per sfondo obelischi, archi e templi colonnati.
Un riferimento alla terra dei faraoni compariva già nella
Disputa di Santa Caterina di
Pinturicchio, affrescata a fine Quattrocento nell’Appartamento Borgia, oggi Musei Vaticani; nel Settecento, però, sulla scia delle illustrazioni di
Piranesi, si diffonde una vera e propria egittomania nella decorazione degli ambienti. L’aristocrazia romana fa a gara nell’allestire sale egizie all’interno dei palazzi: Villa Torlonia ne offre tutt’oggi un gradevole esempio, ma la più celebre era a Villa Borghese, con dipinti di
Tommaso Maria Conca alle pareti e le due polite, elegantissime statue di
Osiride e
Iside di
Antoine-Guillaume Grandjacquet.
Nessuna meraviglia se, all’uscita dalla mostra, percorrendo il Ponte Sant’Angelo, vi verrà da ricercare nel romanissimo Tevere qualche segno dell’identificazione adrianea fra il fiume della lupa e quello delle sfingi.