La tentazione è tradurla, l’esortazione che fa da titolo in questa tripla personale. Ma tradurla come, con quali parole, dal momento che Fold up –qui almeno– sta tanto per piegare quanto per schiudere, e che, a prescindere dalle insidie della traduzione, ogni bel titolo è per definizione una trappola? Di sicuro c’è lui, “the sky”, quel cielo che diventa il protagonista di questa felice rilettura degli spazi della galleria di via del Pellegrino, per l’occasione trasformata –si direbbe– in un paradossale white cube-labirinto.
Apre le danze Alan Bond, che conduce dritto nel silenzio d’acquario degli spazi interstellari o, viceversa, di quelli microbiotici. I suoi sono dipinti di medio-grandi dimensioni che pure appaiono leggerissimi, in cui un’imagerie siderale, fatta di sfere incombenti, allude all’inattesa coincidenza di ogni
Si scende al piano di sotto, dove il primo degli ambienti ipogei –quello di passagio, il più arduo– è stato plasmato da May Cornet (Parigi, 1975; vive a Londra) attraverso un solo momento di luce e d’allarme. Un’installazione-stanza dove sui molti lightbox campeggiano agglomerati seminali ora minimi ora complessi, disposti orizzontalmente come mappe con le quali dover lavorare, esaminati per mezzo della lente di un microscopio-satellite che assegna ogni volta, ad ogni minimo comune denominatore dell’esserci, un solo pigmento arancione. Grotta o laboratorio, vita o –viceversa– progetto di vita? Ulteriori domande sembra invocarle il lavoro a parete che conclude l’intervento, con la frase “Tell me something else”, ricamata a mano e quasi sussurrata, a incarnare l’ottimismo dei nervi in fondo allo splendore clinico dell’analisi pura.
Ancora oltre, nel terzo ambiente, spazio alla vena visionaria di Dawn Shorten.
Gouache su carta da lucido e, nel mezzo, strutture in legno in cima alle quali sembra svolgersi un piccolo dialogo dei massimi sistemi: strani specchietti come libri aperti e riproduzioni in scala di nubi troppo calde e fin troppo suadenti, frutto –è evidente– di una qualche terrificante esplosione nucleare. Strutture perfettamente innervate le une nelle altre, ribaltamento di quello stesso cinismo con cui s’incontrano abuso e devastazione.
pericle guaglianone
mostra visitata il 21 aprile 2005
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