Tanto per cominciare, la mostra si divide in due parti. La prima alla Galleria dell’oca, dove la scultura
Avaton, di recente creazione, occupa tutto lo spazio disponibile, giocando con il bianco e nero della sala, ma soprattutto con l’aspetto
double face che le ha dato l’intelligenza bruciante e il talento espressivo di
Nunzio (Cagnano Amiterno, 1954; vive a Roma). La seconda nell’appartamento della gallerista Luisa Laureati Briganti, dove sono esposte opere precedenti, che ben illustrano l’anelito creativo da cui ha preso forma la nuova arrivata.
Avaton però, è bene dirlo, non campeggia sovrana attraverso le vetrine di via del Vantaggio solo perché è l’ultima
release. Nella semplicità della sua architettura (laddove molto spesso architetture semplici racchiudono in sé tematiche molto complesse) il lavoro dà adito a una lettura che riassume in sé un tema già presente nel percorso artistico dell’artista allievo di
Toti Scialoja, quello del rapporto con il passato. Rapporto che la stazza notevole dell’opera, nonché la sua particolare composizione, consentono di interpretare su diversi livelli. I vari e variegati listelli di legno di cui è costituita sono in realtà “scampoli” sopravvissuti ad antiche progettazioni, di cui portano con sé un’intuitiva impronta. Una delle parti terminali dei listelli, infatti, è colorata, ognuna in modo diverso, al fine di poter distinguere una tipologia di legno da un’altra.
L’impatto visivo del retro -se così si può definire- si presenta dunque come un insieme colorato, dove ogni listello è differente dagli altri, o comunque dotato di un suo segno distintivo. E la diversa natura del legno, oltre alla tonalità di marrone e alla durezza, fa sì che annusandoli se ne percepisca per ciascuno il diverso effluvio. L’impatto visivo e olfattivo è allora quello di un piccolo mondo composto da elementi insieme simili e diversi, provvisto ciascuno di una propria identità , e riconducibile anche nella memoria, quasi come se fosse dotato di anima, a un’essenza specifica. Niente di più e niente di meno della percezione di una piccola comunità vissuta dall’interno, con le sue individualità che si affiancano e interagiscono, che cozzano o combaciano. Tutto questo, nell’organico tentativo di trovare un’armonia di vita e di pensiero.
Ma su questa comunità incombe funesta la presenza annullatrice della fiamma, come per l’uomo quella della Storia. La parte esterna, infatti, dopo aver subìto un processo di combustione, acquista l’aspetto di un’opera commemorativa, anche in virtù della sua forma convessa. Il legno prende un colore simile al nero del marmo e i listelli, tutti ormai identici gli uni agli altri, ottengono il doloroso sembiante di piccoli e lugubri tasselli incastonati
ad memoriam nel monumento funebre. E l’intera scultura assume l’aria di uno ieratico mausoleo, sorta di
Spoon river materico dove le diversità vengono progressivamente uniformate e l’insieme, prima cromatico e dinamico, finisce immobilizzato in una cupa e innaturale omogeneità .
Il messaggio, a questo punto, è chiaro. E la perdita irrimediabile. Perché, al di là di una improbabile commemorazione, la Storia, dopo di noi, avrà forse modo di ricordarci. Ma certo non avrà mai modo di ricordarci
così come eravamo.
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Bellissima recensione!complimenti!
una recensione a dire poco profumata!!! complimenti Vale sei riuscita a rendere emozioni vive!