Dopo i labirinti temporali e spaziali tracciati tra pubblico e privato di
Marco Fedele di Catrano, la galleria Nextdoor continua con la trasformazione del proprio spazio attraverso strutture possenti, destinate a impressionare la percezione fisica e lo stato d’animo dello spettatore. Così è il turno di
Courtney Smith (Parigi, 1966; vive a New York) -giĂ conosciuta nella cittĂ capitolina per la sua mostra nello spazio Interno12-, che continua la propria ricerca attraverso i mobili in legno
decostruiti.
Per la mostra
Iglu un’unica opera, elaborata con una particolare tecnica, occupa tutto lo spazio. Abitualmente l’artista inizia il proprio lavoro con un oggetto reperibile, generalmente ricavato dal mondo domestico, che ulteriormente manipola dando come risultato un oggetto originale-derivato. In questo caso, se per iglù s’intende genericamente un rifugio costruito con blocchi di neve, tipicamente a forma di cupola, l’artista travolge consapevolmente forme e significati.
Così la curvatura abituale delle capanne di neve diventa una stabile linea retta, simbolicamente infinita, che s’interrompe laddove lo spazio glielo impone, senza ingresso né uscita. E l’ipotetica copertura rimane aperta, dando origine a una curiosità intrinseca per chi resta forzosamente all’esterno del confine delimitato. Un non-luogo creato attraverso un meticoloso e impenetrabile tratto di frontiera, che ricorda i frammenti del muro di Berlino esposti in tutto il mondo dopo la sua caduta, ma dove il cemento è sostituito da ignoti cassetti assemblati.
Come se l’“
intervallo perduto” coniato da Gillo Dorfles fosse chiamato in causa, numerosi pezzi di mobili differenti sono concentrati intenzionalmente per dividere uno spazio preciso e preesistente, il cui retro è visibile attraverso un piccolo monitor che si trova in bagno. Nasce così una curiosa provocazione all’intuizione dello spettatore, che cerca i ricordi trascurati negli angoli delle memorie dimenticate. Nascondigli per secreti o rifugi per verità ineffabili. Digressioni del pensiero che scruta fra le rovine, fra ritagli incastrati e combinati, il significato perduto della propria storia.
Divergenze tra il fuori e il dentro congiunte proprio nell’elemento che gli dà origine. Come segnala il curatore, Antonio Arévalo, “
perché se nell’Antartide i muri degli iglù sono costruiti e si mantengono per la forza compressa che a loro concede il freddo glaciale, nel muro che Courtney Smith costruisce a Roma è l’abbinamento, la composizione poetica, l’assemblaggio intuitivo, che riesce a mantenere la struttura, a dare corposità e materia e a raggiungerci in quanto opera”.