Dopo otto anni Marc Chagall (Vitebsk, 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 1985) torna negli spazi del Vittoriano. Stavolta in una retrospettiva che abbraccia un ampio arco temporale e mira a restituire la componente engagé del lavoro dell’artista, spesso sottovalutata a favore di una lettura più romantica e folkloristica. Troppo riduttiva per uno dei grandi protagonisti del XX secolo, che ha vissuto tanto e che tanto ha viaggiato, conosciuto, sofferto. In un percorso espositivo che procede per sbalzi temporali, privilegiando la continuità tematica, emerge la forza di un linguaggio individuale, carico di suggestioni culturali filtrate attraverso l’esperienza privata, che guarda alle Avanguardie europee senza aderire ideologicamente a nessuna di queste e che attinge tanto alla tradizione ebraica quanto alle radici russe.
Nel suo mondo alla rovescia, dominato da un horror vacui ereditato dalle icone bizantine, i numerosi elementi del mondo reale si caricano di significati simbolici, ripetendosi con continuità anche in opere molto distanti nel tempo. Il pendolo, gli amanti volanti, il candelabro a cinque punte, il campionario animale. E ancora, il violinista, figura legata alle festività ebraiche, e la tavolozza, vera firma dell’artista. È difficile identificare un soggetto unico o anche un genere unico, laddove ritratti, paesaggi e nature morte convivono in scene animate da colori vividi.
Non mancano i riferimenti fauve, soprattutto nei nudi femminili, così come nelle opere del 1914-16 è evidente la plasticità cubista. Lo stesso Chagall non rinnega il suo legame con Parigi (dove soggiornò la prima volta dal 1910 al 1914) quando afferma “Ho portato dalla Russia i miei oggetti. Parigi vi ha versato sopra la luce”.
Eppure quegli “oggetti” continuano ad essere il tratto distintivo di una ricerca che non dimentica l’iconografia popolare, così come l’etnografia russa diviene fonte di ispirazione per i grandi compositori, primi tra tuttiMussorgskij e Stravinskij. Il linguaggio figurativo di Chagall attinge ai lubok, piccole vignette colorate in modo rozzo e scoordinato, popolari nella forma quanto nella diffusione. Se però permane la volontà di una rappresentazione “realistica”, in contrasto con l’astrattismo rivoluzionario propugnato dal contemporaneo Malevic,
Dalla Rivoluzione d’Ottobre all’Olocausto: le opere esposte al piano superiore mettono in scena un sincretismo religioso che, a partire dalla illustrazioni della Bibbia degli anni Trenta, si carica di messaggi universali, combinando iconografie diverse allo scopo di comunicare uno stato di sofferenza condiviso.
Così si moltiplicano le immagini della crocifissione, sullo sfondo della quale il popolo ebraico fugge tra le fiamme della sinagoga. E l’Ebreo Errante, soggetto di un’opera omonima, da persecutore si trasforma in perseguitato. Chiari segni di un’arte che non dimentica la tragedia storica, causa del trasferimento dello stesso Chagall negli Stati Uniti nel 1941. L’elemento onirico nelle sue opere non fa più capo ad un inconscio privato, quale poteva essere quello surrealista, ma ad un inconscio culturale, puro kunstwollen che si materializza in forme fantastiche dai colori straordinari. Senza tarpare le ali dell’immaginazione, Chagall racconta la Storia. Con un’intensità unica ed appassionata.
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Ma perchè tutti questi quadri?