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27
luglio 2009
fino all’1.VIII.2009 Rob Sherwood / Gabriele Porta Roma, Federica Schiavo
roma
Due giovani artisti tra loro assai diversi. A cui un complesso spazio espositivo permette di presentare bene gli esiti più recenti delle rispettive ricerche. Bristol e Monza nella rinnovata galleria romana...
di Luca Arnaudo
Complice una galleria curiosamente labirintica, due artisti dagli intenti e prassi assai differenti riescono a trovarsi riuniti in un’unica occasione, senza subire troppe confusioni o incomprensioni espositive, e uscendone ciascuno con una personale dignitosa (nel caso specifico di Porta, molto interessante).
Si diceva del labirinto: la galleria di Federica Schiavo, da poco inaugurata nel cuore del centro storico romano, si snoda infatti lungo un ambiente-ufficio rettangolare collegato da un cortiletto a una saletta quadrata, da cui si diparte un lungo corridoio che sfocia in altre due sale cieche, e dall’impiego funzionale di tale frammentarietà si ricava la prima felice sorpresa delle mostre in discorso.
Negli spazi iniziali trova accoglienza Rob Sherwood (Bristol, 1984; vive a Londra), al suo esordio in Italia ma con già alle spalle un’intensa attività espositiva in Inghilterra. Le opere presentate svelano un pittore giovane e prolifico, tutto preso da giochi di luce che, se non aggiungono nulla alla storia dell’arte, ne tradiscono comunque una partecipata conoscenza.
Giovinezza e produttività traspaiono in effetti dal cambio repentino di stile che avviene tra gli oli su tela dalla prima e alla seconda sala, con un transito da stilemi più marcatamente figurativi a una scomposizione dell’immagine entro una dimensione coloristica entusiasta, fatta di quadrati cromatici idealmente a cavallo fra atmosfericità divisioniste e sgranature in pixel che lasciano ammiccare sottostanti scorci naturalistici.
Dal canto loro, nell’opportuno isolamento del corridoio terminale e delle due salette cieche, i lavori di Gabriele Porta (Monza, 1981; vive ad Arcore) definiscono un immaginario colto e composito, espressione della ricerca di un artista dichiaratamente intellettuale. Si tratta, nondimeno, di una ricerca che non rifugge dall’emozione, disponendosi piuttosto a definirla e fissarla in forme inattese, dove la sorpresa non è mai fine a se stessa, ma intende farsi strumento di conoscenza.
Nella sua mostra romana, Porta tenta tale conoscenza rispetto al sentimento della perdita, svolgendone un’analisi raffinata che traversa l’iconografia artistica – si veda la serie di riproduzioni su carta di celebri Pietà, dal Bellini al Perugino, dove il corpo del defunto è stato cancellato, lasciando gli altri soggetti ad abbracciare uno straniante spazio bianco – per arrivare infine a interrogare le possibili differenze, ove mai esistenti, tra il vissuto di uomini e animali.
Particolarmente significativa, al riguardo, è un’opera come Nedda, con cui l’artista realizza una sapiente sovrapposizione per diapositive di una coppia di testi dedicati al lutto di due madri, una donna e uno scimpanzè. E che idealmente introduce l’enigmatico video dell’ultima sala (con cui ben si combina pure una serie di tecniche miste su carta vetrata), dove il “dormire, morire, forse sognare” di shakesperiana memoria risulta applicato a una scimmia ripresa in cattività.
Si diceva del labirinto: la galleria di Federica Schiavo, da poco inaugurata nel cuore del centro storico romano, si snoda infatti lungo un ambiente-ufficio rettangolare collegato da un cortiletto a una saletta quadrata, da cui si diparte un lungo corridoio che sfocia in altre due sale cieche, e dall’impiego funzionale di tale frammentarietà si ricava la prima felice sorpresa delle mostre in discorso.
Negli spazi iniziali trova accoglienza Rob Sherwood (Bristol, 1984; vive a Londra), al suo esordio in Italia ma con già alle spalle un’intensa attività espositiva in Inghilterra. Le opere presentate svelano un pittore giovane e prolifico, tutto preso da giochi di luce che, se non aggiungono nulla alla storia dell’arte, ne tradiscono comunque una partecipata conoscenza.
Giovinezza e produttività traspaiono in effetti dal cambio repentino di stile che avviene tra gli oli su tela dalla prima e alla seconda sala, con un transito da stilemi più marcatamente figurativi a una scomposizione dell’immagine entro una dimensione coloristica entusiasta, fatta di quadrati cromatici idealmente a cavallo fra atmosfericità divisioniste e sgranature in pixel che lasciano ammiccare sottostanti scorci naturalistici.
Dal canto loro, nell’opportuno isolamento del corridoio terminale e delle due salette cieche, i lavori di Gabriele Porta (Monza, 1981; vive ad Arcore) definiscono un immaginario colto e composito, espressione della ricerca di un artista dichiaratamente intellettuale. Si tratta, nondimeno, di una ricerca che non rifugge dall’emozione, disponendosi piuttosto a definirla e fissarla in forme inattese, dove la sorpresa non è mai fine a se stessa, ma intende farsi strumento di conoscenza.
Nella sua mostra romana, Porta tenta tale conoscenza rispetto al sentimento della perdita, svolgendone un’analisi raffinata che traversa l’iconografia artistica – si veda la serie di riproduzioni su carta di celebri Pietà, dal Bellini al Perugino, dove il corpo del defunto è stato cancellato, lasciando gli altri soggetti ad abbracciare uno straniante spazio bianco – per arrivare infine a interrogare le possibili differenze, ove mai esistenti, tra il vissuto di uomini e animali.
Particolarmente significativa, al riguardo, è un’opera come Nedda, con cui l’artista realizza una sapiente sovrapposizione per diapositive di una coppia di testi dedicati al lutto di due madri, una donna e uno scimpanzè. E che idealmente introduce l’enigmatico video dell’ultima sala (con cui ben si combina pure una serie di tecniche miste su carta vetrata), dove il “dormire, morire, forse sognare” di shakesperiana memoria risulta applicato a una scimmia ripresa in cattività.
luca arnaudo
mostra visitata il 17 giugno 2009
dal 21 maggio al primo agosto 2009
Rob Sherwood – The Stars are Matter, we’re matter but it doesn’t matter
Gabriele Porta – The inner emotion of being alive
Federica Schiavo Gallery
Piazza Montevecchio, 16 (zona Parione) – 00186 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 12-19
Ingresso libero
Testo critico di Riccardo Conti
Info: tel. +39 0645432028; fax +39 0645433739; info@federicaschiavo.com; www.federicaschiavo.com
[exibart]
Una delle mostre più interessanti di roma. una scoperta di giovani artisti. da non perdere
ma chi è questo porta?? da dove è uscito??? vuoi vedere che abbiamo trovato il 4° artista da esportare all’estero??? complimenti alla galleria che ha saputo vedere lungo, anche se dal cv del sito si dice che ha studiato a londra e si vede. Continuate così
ma cosa centra che ha studiato all’estero? buon per lui. rimane comunque italiano (malgrado l’esterofilia della galleria). In ogni caso sono d’accordo con francesco 76: un’ottima mostra con artisti interessanti. Ne sentiremo davvero parlare. promettono molto bene. E poi chi sono gli altri 3 che sono già andati sulla scena internazionale??
Una bellissima mostra vale la pena. ma poi, se porta diventa il quarto artista da esportare, chi sarebbero gli altri 3??
mi riferivo a cattelan beecroft e vezzoli, gli unici dopo l’arte povera ad aver avuto un degno successo fuori dai confini nostrani
condivido con la lista proposta. dispiace che per avere una certa eco fuori dai confini nazionali, i nostri artisti siano costretti ad andare all’estero. è triste quanto la nostra nazione sia ancora così tanto provinciale, esterofila, un’italianetta. crescerà (?!),
definirla “bellissima” mostra mi sembra veramente esagerato e sintomatico di come ci si abitui a tutto, anche al mediocre. sicuramente labirintica, ma esaltare come grandi stelle del firmamento due artisti, soprattutto l’italiano, che hanno fatto solo giochini carini (sì colti, ma sempre giochini), mi sembra veramente esagerato. e veramente esagerato è definirla una delle mostre più interessanti a roma: evidentemente non vengono viste tutte.