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In Italia non è molto conosciuta, ma Aino Nebel(Berlino, 1972), pur nell’apparente freddezza estetica del suo lavoro, trova molte affinità personali con un certo aspetto del nostro Paese. Ritrovandosi nella ricchezza accogliente nel barocco romano, inteso non solo come esperienza del passato, ma come clima ancora da respirare e vivere. Lo si percepisce dal lavoro presentato nel giovane spazio capitolino che accoglie le sue porcellane, personalissimo omaggio proprio al barocco della capitale.
Di primo acchito sfugge il richiamo, per comprenderlo è necessario scavare nella sua personale associazione col cibo. Una traslazione che già aveva mostrato nell’installazione in un castello tedesco, la cui Sala degli Specchi fu completamente coperta da torte a più strati nel cui profilo Nebel rivedeva le forme architettoniche nostrane. Il cibo e la sua ricca opulenza come traduzione stilistica.
Più che una reale similitudine quindi, potremmo parlare di un’idea di magnificenza formale che nasconde una significativa decadenza sostanziale. Perché il cibo proposto dall’artista berlinese è marcescente. Ma la caducità reale che caratterizzava i suoi lavori passati –realizzati con materiali organici come uova, insetti o fiori– nella nuova produzione ha lasciato spazio alla volontà di mantenere l’idea costante della deperibilità, senza però portare a “morte” sicura la sua opera. Così, ad esempio, il pane non è fatto di sola acqua, farina e lievito, ma da un mix di questi elementi, con anche la fondamentale ceramica, da cui emerge a fine cottura l’usuale degenerazione della materia: muffa vera ma “cristallizzata” per sempre.
Vengono alla mente le molte esperienze intorno al rapporto donna/cibo e nutrimento/morte, senza voler però connotare di una tragicità luttuosa una ricerca da cui pare emergere –nella delicatezza delle forme bianche– una riflessione sulla ciclicità della vita, scandita dai ritmi lenti della lavorazione della ceramica. La manipolazione e trasformazione del materiale unita all’incertezza conclusiva, alla sorpresa successiva, alla cottura delle forme.
Ma certo non può sfuggire il carattere estremamente femminile del lavoro di Aino Nebel, che rigurgita della tradizione della cura e della cucina, del vincolo tra il sé e il nutrimento, dell’atmosfera d’intimità e di bellezza seppure nella durezza sospesa della sua produzione. E s’impone poi un pensiero a Joseph Beuys che la stessa Nebel evoca giusto in riferimento all’utilizzo dei diversi materiali.
In conclusione, un cenno allo spazio espositivo e al lavoro dei suoi fondatori –Simona Cresci, Paola D’Andrea, Piera Peri e Claudio Libero Pisano– che svolgono un attento lavoro di ricerca tra i giovani artisti presentandoli in un ambiente che, seppur non molto grande e totalmente sviluppato in lunghezza, non soffre come condizionamento questa sua struttura e anzi ne fa un elemento caratterizzante.
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CONTAINER, Via Dei Cappellari 21, (Piazza Farnese)
dal martedi al sabato 15,00-19,30 – info. 06 87450491
info@artcontainer.com – www.artcontainer.com
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