All’interno della filosofia del linguaggio – intesa come studio delle relazioni tra linguaggio, mente e realtà – la tradizione della scuola di Port-Royal, il progetto di una
characteristica universalis di Gottfried Leibniz ma soprattutto la Grammatica universale di Noam Chomsky (come teoria linguistica per cui i principi grammaticali sono condivisi da tutte le lingue) conformano il punto di partenza della mostra in corso da Nextdoor.
Il lavoro essenzialmente semiotico di
Alexandru Niculescu (Craiova, 1979; vive a Lipsia), già conosciuto nel panorama capitolino per la sua borsa di studio all’Accademia di Romania, viene focalizzato sulle cinque lettere (ă, â, î, ş, ţ) che segnano la differenza più caratteristica e perspicua tra l’alfabeto romeno e quello italiano e, di conseguenza, tra il romeno e le altre lingue latine.
La mostra in corso presenta gli ultimi dipinti dell’artista, in cui le vocali ă e â sono inserite su uno sfondo dominato dall’uniformità del carattere tipografico Times New Roman,
ideato da Stanley Morison nel 1932 per il quotidiano britannico “The Times” e usato di default nella maggior parte delle applicazioni informatiche. In questo modo, la sua madrelingua viene paragonata, in un intelligente gioco linguistico, al codice più genericamente accettato e utilizzato in qualsiasi programma Microsoft o Apple. Nascono così diverse questioni che vedono l’universalità di un linguaggio informatico, convenzionale e genericamente impiegato, confrontarsi con un idioma particolare e con la sua corrispondente cultura.
Paragone sottolineato criticamente per il fatto di esser presentato proprio in uno dei Paesi che più fortemente sta affrontando i dibattiti sull’immigrazione. Un Paese come l’Italia, in cui la cronaca giornalistica enfatizza i reati commessi dagli extracomunitari, i militari sorvegliano le strade, aumenta il razzismo, si accentuano le numerose difficoltà burocratiche e si prendono le impronte digitali nei campi nomadi. Una problematica di complessa lettura e ardua responsabilità a livello internazionale, che l’artista romeno affronta meditando sulle sottili disuguaglianze linguistiche all’interno della koinè mediterranea.
Così il linguaggio – sia esso inteso come la manifestazione di un mondo interiore o come la concettualizzazione mentale della realtà in cui svolgiamo la nostra vita quotidiana – viene concepito come un metodo euristico in grado di attenuare le frontiere sociali e culturali, che spesso sono edificate arbitrariamente. O almeno come un esempio che può provocare una profonda riflessione, attenta, lungimirante e coerente, sulla difficile problematica dell’immigrazione.