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14
ottobre 2008
fino all’11.I.2009 Giovanni Bellini Roma, Scuderie del Quirinale
roma
Dal “Restelo” di Vincenzo Catena alla più ben più complessa tavola dell’Allegoria sacra. In mostra una sessantina di capolavori. Per finire con La derisione di Noè, espressione ultima di un artista sempre pronto al rinnovamento...
“Non c’è nulla da capire, c’è solo da guardare. L’aria, il colore della luce delle stagioni…”, afferma Antonio Paolucci, Presidente della Commissione Scientifica delle Scuderie del Quirinale, davanti alla grande tavola del Battesimo di Cristo della Pinacoteca Civica di Vicenza. Nel cartiglio, in basso a destra, la firma dell’autore: Ioannes Bellinus, Giovanni Bellini. L’episodio del Nuovo Testamento è collocato in uno scenario naturalistico, con le cime delle montagne che si stagliano sul rosa rarefatto dell’aurora. “Giovanni Bellini è il primo che guarda il cielo e si commuove davanti alle nuvole e alle montagne”, continua Paolucci.
Un percorso straordinariamente prezioso quello che restituisce allo spettatore l’opera del grande maestro veneto vissuto cinquecento anni fa. La mostra monografica è ambiziosa, non solo perché riunisce capolavori provenienti dalle più importanti collezioni del mondo, ma in quanto si prefigge, attraverso indagini scientifiche sostenute dai curatori – gli studiosi Lucco e Villa – uno slittamento cronologico sulla biografia stessa del Giambellino. Figlio di Jacopo Bellini, fratello di Gentile Bellini e cognato di Andrea Mantegna, l’artista sarebbe nato nel 1438-40 ca. (e non intorno al 1426, come sostenuto fino a oggi) e morto a Venezia nel 1516.
Sarà anche la penombra dominata dal rosso pompeiano dell’allestimento, ma l’atmosfera che si respira nelle Scuderie ha un che di solenne. Effetto mozzafiato incluso, affidato alla maestosa e scenografica Pala di Pesaro (1472-74 ca.) fresca di restauro e completa della cimasa proveniente dai Musei Vaticani. Oggi conservata nei Musei Civici di Pesaro, la complessa struttura era originariamente collocata sull’altare maggiore della chiesa di San Francesco.
Famoso anche per “il quadro dentro il quadro” nella spalliera del trono, dove si svolge l’Incoronazione della Vergine, questo dipinto è la sintesi della poetica di Giovanni Bellini, che sapientemente introduce la natura nella prospettiva architettonica. Ma è anche l’opera-chiave in cui Lucco prende le distanze da Longhi e da altri critici del passato, che insistevano sull’influenza di Piero della Francesca sullo stile del veneto.
“Che l’opera marchi, all’interno del percorso di Giovanni Bellini, un cambio di visualizzazione, con la scoperta delle possibilità di un colore profondo, ricco e vellutato”, scrive Lucco, “quale quello veicolato dalla tecnica a olio (che fa qui una delle sue prime apparizioni), di suggerire la posizione delle figure nello spazio e in profondità, e di far avvolgere le cose da un velo d’aria e di luce credibilmente unificante, non vi è il minimo dubbio”. Ma che la ragione di ciò “risieda nel fatto che tale soluzione pittorica preesisteva già in Piero, a noi sembra assai difficile credere, quando quel cambio appare sviluppo interno e naturale di premesse chiaramente poste e inseguite da anni”, conclude lo studioso.
In mostra c’è, naturalmente, una rassegna significativa di Madonne con Bambino, spesso caratterizzate dalla presenza scenica di una tenda (verde) che funge da raccordo tra i protagonisti e la natura, descritta fin nei minimi particolari, sullo sfondo. Altro elemento ricorrente in primo piano, tipico riferimento iconografico del tempo, il parapetto marmoreo su cui è poggiato il Bambino (il cui sguardo è serio e assorto, come lo è, del resto, quello della Madre) e, talvolta, frutti che rimandano alla tematica del peccato, della morte e della redenzione. Quel parapetto altro non è che la prefigurazione del sepolcro, quindi della morte stessa di Cristo. Quanto a mele, uva, melograni e via di seguito, sono attributi del peccato originale oppure alludono al sacrificio del figlio di Dio, attraverso il quale l’umanità viene redenta.
Un percorso straordinariamente prezioso quello che restituisce allo spettatore l’opera del grande maestro veneto vissuto cinquecento anni fa. La mostra monografica è ambiziosa, non solo perché riunisce capolavori provenienti dalle più importanti collezioni del mondo, ma in quanto si prefigge, attraverso indagini scientifiche sostenute dai curatori – gli studiosi Lucco e Villa – uno slittamento cronologico sulla biografia stessa del Giambellino. Figlio di Jacopo Bellini, fratello di Gentile Bellini e cognato di Andrea Mantegna, l’artista sarebbe nato nel 1438-40 ca. (e non intorno al 1426, come sostenuto fino a oggi) e morto a Venezia nel 1516.
Sarà anche la penombra dominata dal rosso pompeiano dell’allestimento, ma l’atmosfera che si respira nelle Scuderie ha un che di solenne. Effetto mozzafiato incluso, affidato alla maestosa e scenografica Pala di Pesaro (1472-74 ca.) fresca di restauro e completa della cimasa proveniente dai Musei Vaticani. Oggi conservata nei Musei Civici di Pesaro, la complessa struttura era originariamente collocata sull’altare maggiore della chiesa di San Francesco.
Famoso anche per “il quadro dentro il quadro” nella spalliera del trono, dove si svolge l’Incoronazione della Vergine, questo dipinto è la sintesi della poetica di Giovanni Bellini, che sapientemente introduce la natura nella prospettiva architettonica. Ma è anche l’opera-chiave in cui Lucco prende le distanze da Longhi e da altri critici del passato, che insistevano sull’influenza di Piero della Francesca sullo stile del veneto.
“Che l’opera marchi, all’interno del percorso di Giovanni Bellini, un cambio di visualizzazione, con la scoperta delle possibilità di un colore profondo, ricco e vellutato”, scrive Lucco, “quale quello veicolato dalla tecnica a olio (che fa qui una delle sue prime apparizioni), di suggerire la posizione delle figure nello spazio e in profondità, e di far avvolgere le cose da un velo d’aria e di luce credibilmente unificante, non vi è il minimo dubbio”. Ma che la ragione di ciò “risieda nel fatto che tale soluzione pittorica preesisteva già in Piero, a noi sembra assai difficile credere, quando quel cambio appare sviluppo interno e naturale di premesse chiaramente poste e inseguite da anni”, conclude lo studioso.
In mostra c’è, naturalmente, una rassegna significativa di Madonne con Bambino, spesso caratterizzate dalla presenza scenica di una tenda (verde) che funge da raccordo tra i protagonisti e la natura, descritta fin nei minimi particolari, sullo sfondo. Altro elemento ricorrente in primo piano, tipico riferimento iconografico del tempo, il parapetto marmoreo su cui è poggiato il Bambino (il cui sguardo è serio e assorto, come lo è, del resto, quello della Madre) e, talvolta, frutti che rimandano alla tematica del peccato, della morte e della redenzione. Quel parapetto altro non è che la prefigurazione del sepolcro, quindi della morte stessa di Cristo. Quanto a mele, uva, melograni e via di seguito, sono attributi del peccato originale oppure alludono al sacrificio del figlio di Dio, attraverso il quale l’umanità viene redenta.
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manuela de leonardis
mostra visitata il 29 settembre 2008
dal 29 settembre 2008 all’undici gennaio 2009
Giovanni Bellini
a cura di Mauro Lucco e Giovanni C.F. Villa
Scuderie del Quirinale
Via XXIV maggio, 16 (zona Via Nazionale) – 00187 Roma
Orario: da domenica a giovedì ore 10-20; venerdì e sabato ore 10-22.30 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Ingresso: intero € 10; ridotto € 7,50
Catalogo Silvana Editoriale
Info: tel. +39 0639967500; info@scuderiequirinale.it; www.scuderiequirinale.it
[exibart]