Sembra che in occasione della prima mostra, a Tokyo nel 1979,
Kohei Yoshiyuki (Hiroshima, 1946; vive in Giappone) si sia ispirato all’idea della camera oscura. La galleria era completamente al buio e il pubblico veniva munito di torcia, affinché la visione fosse il più vicino possibile a quella che si era presentata allo stesso fotografo, nel momento in cui si aggirava nottetempo per i parchi di Tokyo. Una perfetta simbiosi tra voyeurismo culturale e sessuale.
Le fotografie, di dimensioni straordinarie, furono distrutte dopo quella mostra. Riscoperte solo recentemente, sono in parte quelle che vengono presentate oggi, per la prima volta in Italia, nello spazio di BrancoliniGrimaldi. Allora l’alone di luce puntava sul particolare, lasciando emergere il dettaglio dal nero più completo dell’insieme. Oggi invece, trent’anni dopo, stampate in un formato più accessibile, incorniciate e appese alle pareti candide, queste fotografie in bianco e nero perdono il gusto provocatorio originario, per assumere una connotazione di esplorazione della natura umana. Tanto più se si considera che stiamo parlando di un Paese di contraddizioni esasperate come il Giappone.
La storia di
The Park, raccontata dallo stesso Yoshiyuki nella chiacchierata con
Nobuyoshi Araki (pubblicata nel catalogo della personale alla Yossi Milo Gallery di New York), risale al periodo 1971-79. Munito di una macchina 35mm con la pellicola infrarossi e un aggeggio montato sul flash per attenuarne la visibilità, l’autore decise di spostare l’attenzione dalla fotografia commerciale, di cui è tuttora un esponente di successo, alla sperimentazione. Una sperimentazione dettata dalla curiosità di fermare movimenti inquieti, privati e pubblici nello stesso tempo. I movimenti del desiderio esplicitamente sessuale che si concretizzava ogni notte tra alberi e cespugli, ai margini dello skyline metropolitano, sotto il tetto di luna e stelle.
A Shinjiuku, Yoyogi e Ayoma, i tre parchi più importanti di Tokyo, il fotografo si confondeva tra i tanti
peeper, protagonisti attivi della scena. Le prime due serie del 1971 e del 1973 sfiorano la sfera eterosessuale, la terza del 1979 è esclusivamente rivolta all’omosessualità.
Ciò che colpisce di questi scatti spontanei è la totale mancanza tanto di nudità quanto di romanticismo. Piuttosto si registra la maniacale osservazione di certi riti, come quello di allineare le scarpe, oppure ripiegare alcuni indumenti, mentre si fa sesso sull’erba.
Non c’è pornografia. C’è la descrizione di una varietà di stati d’animo che vanno dal piacere allo squallore, dalla solitudine alla trasgressione. L’eccitazione vibra nell’atmosfera, complice l’oscurità che custodisce segreti di un’intimità particolare. Attimi in cui il resto del mondo cessa di esistere.
Visualizza commenti
mi piacerebbe molto vederla
caro Bruciati, se tu viaggiassi un po' di più per mostre internazionali di livello, l'avresti visto (il lavoro in oggetto alla biennale di berlino). muoversi su!!!!!!