Tra il 1920 e il 1940, in un clima d’ispirazioni artistiche e ambizioni culturali, nacque e si sviluppò la cosiddetta Scuola Romana, corrente creativa assai prolifica. Il Casino dei Principi di Villa Torlonia racconta così artisti del calibro di Socrate, Guttuso, Scipione, Capogrossi, Afro, Mafai, Pirandello, Ziveri, Donghi, Amato, Cagli e altri, ospitando nelle proprie sale l’antologica
Scuola Romana. Artisti a Roma tra le due guerre, costituita da dipinti, disegni, sculture, fotografie e documenti.
La mostra ha l’obiettivo di essere esaustiva il più possibile. A tal fine, la curatrice ha suddiviso il percorso in tre sezioni – “L’artista e lo studio”, “La città dell’anima” e “Forme che hanno corpo” -, ognuna rappresentativa di un determinato aspetto.
La prima accoglie il visitatore con dipinti e sculture che, pur essendo stati realizzati con linguaggi espressivi differenti, testimoniano con quale attenzione gli artisti considerati si dedicassero all’analisi della creazione in sé e per sé, come a fissare per sempre il momento in l’opera prende vita. Si vedano in questo senso l’intenso bronzo
Enigma (1918) di
Attilio Selva e la tela
Miliziano a riposo (Antonello Trombadori) (1937) di
Renato Guttuso.
Procedendo al piano superiore, “La città dell’anima” promette di affascinare romani e non. La Capitale sembra pulsare di vita vera, come se volesse uscire fuori da ogni quadro, piena di tutte le sue infinite contraddizioni e le sue esaltanti, incancellabili bellezze. Ecco allora
Alberto Ziveri con il
Cocomeraio (1942), in cui balzano agli occhi i frutti rossi e succosi appoggiati su un tavolo con noncuranza; e il
Palatino (1939) di
Afro Basaldella, dove il leggendario colle sembra un castello incantato, come quello delle fiabe; o, ancora, l’infuocata e misteriosa
Piazza del Popolo (1947) di
Mario Mafai.
“Forme che hanno corpo”, l’ultima parte della mostra, indica sin dal titolo l’assoluta predominanza che gli artisti presi in esame conferiscono al rapporto tra volumi e sensi. Gli stessi
Sassi (1936-39) di
Fausto Pirandello sembrano dotati di un’anima, tanto sono espressivi. Ma il culmine si raggiunge con la diretta esposizione dei corpi: si vedano
Francesco Tombadori e la sua
Fanciulla nuda (1928 ca.) o il
Nudo (1940) di Mario Mafai, entrambi caratterizzati da una sottile, intima sensualità; fino ad arrivare alla splendida, cruenta tela di Guttuso, la
Fucilazione dei patrioti (1944), in cui i colori cupi non possono offuscare la tragica evidenza di corpi martoriati e strappati alla vita.
La rassegna rappresenta dunque un viaggio imperdibile nella storia di Roma e del nostro Paese, attraverso lo sguardo privilegiato di un gruppo di artisti che sono stati testimoni scomodi di un’epoca difficile e, al contempo, ricca di sfide da cogliere.