Le imposte rigorosamente chiuse. A Palazzo Chigi di Ariccia l’unica luce che illumina, in tutti i sensi, è quella del Caravaggio (Michelangelo Merisi, Milano 1571 – Port’Ercole 1610), che si moltiplica nelle tante tele in esposizione. Effetti di luce che rischiarano scene bibliche, spesso cruente -come quella di Giuditta con la testa di Oloferne-, corpi nudi, o scene da osteria con musici e giocatori di carte. Caravaggio non ebbe allievi, ma la sua lezione fu accolta e vissuta come una rivoluzione, facendo presa su una fitta schiera di giovani artisti che, soprattutto a Roma, cominciarono a dipingere “alla caravaggesca”.
Nelle sale di Palazzo Chigi, osservando i cento capolavori della Collezione
Koelliker, sembra quasi di vagare nella Roma del primo Seicento, negli studi dei tanti artisti che, come il Merisi, cominciarono ad utilizzare la tecnica della camera oscura, la stessa impiegata per dipingere i laterali della cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi, che ebbe a suscitare tanto rumore. Gli artisti in mostra animavano quella Roma delle commissioni pubbliche che ruotava attorno a via del Corso, frequentandosi la sera, condividendo pasti, giochi, scherzi, invidie e gelosie. Così, al di là della riscoperta di tanti pittori, la mostra ideata da Giovanni Papi fa nascere un’accesa curiosità di indagare meglio sul periodo (il primo ventennio del Seicento) che fu dominato dall’estro del Caravaggio. Per districare l’intrigo di rapporti che intercorse tra i numerosi pittori attivi a Roma, e non solo tra quelli che saranno indicati come i più diretti seguaci del maestro della luce, come Cecco del Caravaggio, Spadarino, Bartolomeo Manfredi e Ribera, ma anche tra i contemporanei. Se la mostra ha il pregio di mettere insieme in un unico contesto tante opere, facendo quasi trapelare un senso di omogeneità, indagando sulle singole vite degli artisti emergono invece i violenti contrasti che caratterizzarono quell’epoca nella Città Eterna. Basti per tutte la controversia Baglione-Caravaggio, Anno Del Signore 1603.
Il Merisi, costretto a difendersi dall’accusa di diffamazione per versi non troppo gentili nei confronti del Baglione, con ironia e retorica gioca, deponendo davanti ai giudici, con le parole: “Io non so niente che ce sia nessun pittore che lodi per buon pittore Giovanni Baglione”. Guardando le tele, tra San Girolami che sembrano moltiplicarsi all’infinito, viene da chiedersi quanti sforzi dovette compiere Artemisia Gentileschi, unica donna della “Schola” in mostra a Palazzo Chigi, per affermare in questo ambito una propria identità. L’esposizione è come un affresco romano, quello di una città sparita nel breve volgere di un ventennio. Probabilmente anche a causa della scomparsa della stella del Caravaggio. Nel 1610, in Maremma.
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