Domenico Giglio (Caserta, 1952), artista e organizzatore di eventi culturali, offre al pubblico il suo
Giudizio Universale 9999. Passo dopo passo, opera dopo opera, viene presentata una summa della sua carriera artistica, da sempre ancorata al reale. Sebbene sia stata definita concettuale, l’arte di Giglio, già a partire da oltre vent’anni fa, quando ebbe inizio, ha sempre mostrato un attaccamento doveroso, quasi morboso nei confronti di tematiche concrete, legate al sociale, alla politica, alla cultura.
Ancora oggi parte dal passato per ripercorrere, con un nuovo passo più deciso e consapevole, il presente con cui si trova a interagire. Certo è che la sua comprensione della realtà, unico soggetto delle opere che realizza, non può prescindere dai principali movimenti artistici nati durante il secolo scorso (come la smaterializzazione e la decostruzione in voga negli anni ’70, o il surrealismo). Eppure può superarli, con una continua, inesausta volontà di rinnovamento. Lo dimostrano le
Impronte e “le tele sotto plexiglas” realizzate a partire dagli anni ’90 che, impossibile negarlo, vogliono riportare l’attenzione verso ciò che giorno dopo giorno accade nel mondo. Gli oggetti di uso comune (si veda
Ananas al caffè, 1999) vengono legati indissolubilmente alle tele per assumere su di sé nuove caratteristiche. In altre parole, quello che davvero conta è la problematicità del presente, il conflitto che, volenti o nolenti, il nostro stesso essere al mondo provoca in modo ineluttabile.
Ma questa mostra offre ancora di più: quando si distoglie lo sguardo dalle pareti affollate dalle tele, ecco che arrivano le
Scatole, la cui serie possiede una forza emotiva non indifferente. Forse sarà per colpa di quel suo passato così difficile da perdonare, forse sarà per la sua spiccata attitudine al ragionamento e alla dialettica, ma l’arte di Giglio afferra gli occhi e arriva a colpire nel segno. Si veda la scatola intitolata
Io venni da Capodimonte (2005), in cui i frammenti di tela del Cinquecento, uniti alle cartoline datate 1980 e alle polaroid, creano un insieme di grande suggestione: i materiali, così eterogenei e per loro stessa natura immobili, imprigionati nel legno chiaro, sembrano in realtà liberi di fluttuare alla ricerca di nuovi significati, più veri e credibili.
Inutile negare che la figura di Giglio non sia per forza di cose scomoda, troppo complessa per essere immediatamente riconoscibile. Ma si avverte sempre la necessità di un confronto, anche quando i mondi che si trovano a dialogare sembrano inconciliabili. L’arte è il linguaggio privilegiato che serve a Giglio per vivere ed esprimersi, ma non solo. L’arte è necessaria per spingere il pubblico a sforzarsi di riflettere ancora. Ed è fondamentale, affinché lui stesso, in prima persona, come uomo e come artista, possa riuscire a non smettere di interrogarsi.