Cubista, neoclassico, poi realista. Genio del surreale e, al tempo stesso, interprete dell’astratto.
Pablo Picasso (Malaga, 1881 – Mougins, 1973) è un artista poliedrico e onnicomprensivo, capace di ricoprire molteplici ruoli durante la sua enciclopedica carriera artistica, vestendo ogni volta costumi diversi. Senza vincoli di stile o espressione. Sospinto da un’incontenibile verve creativa e da una fantasia sconfinata. Trasformista ed eccentrico, illusionista e incantatore.
Picasso è
L’Arlecchino dell’arte e, sotto queste vesti, la mostra al Vittoriano lo riporta nella Capitale – dopo l’ultima retrospettiva a lui dedicata nel lontano 1953 – attraverso le opere appartenenti al periodo cruciale della sua lunghissima attività : dal 1917 al 1937. Dall’anno in cui, cioè, smette di alternare stili e tecniche creative, inventandone di nuovi e facendoli confluire liberamente, fino all’anno dell’Esposizione Universale di Parigi e della sua più grande creazione,
Guernica.
Quest’ultima non si sposta certo dal Reina Sofia, dal quale arrivano piuttosto alcune opere preparatorie, e comunque straordinarie, che Picasso realizza in fase di studio per poi trasferirle nell’immensa opera.
Il “periodo blu” è ormai passato e non si può più parlare neanche di “periodo rosa”, né di quello “africano” o cubista. La sua arte non può ormai racchiudersi in un’unica definizione. Da quegli anni in poi Picasso costruisce “
un incredibile arsenale di forme e approcci al quale attinge liberamente ogni volta che ne ha voglia o che lo ritiene opportuno”, come evidenzia il curatore Yve-Alain Bois.
Picasso è un pittore inarrestabile – il più prolifico che la storia ricordi come numero di opere realizzate – ma anche scultore e incisore. “
L’artista è un ricettacolo di emozioni venute da ogni parte: dal cielo, dalla terra, da un pezzo di carta”, spiegava il maestro catalano. Per questa ragione “
non deve distinguere tra le cose”, perché “
per esse non esistono quarti di nobiltà ”. In questo senso Picasso è “
l’Arlecchino dell’arte”: libero (di creare) e senza remore (di espressione). Ma la maschera bergamasca, personaggio d’infinite rivisitazioni teatrali, è anche fonte d’ispirazione per lo spagnolo e soggetto ricorrente in una lunga serie di sue opere.
La mostra apre con due tele a confronto: un
Arlecchino, appunto, proveniente dal Museo Picasso di Barcellona, e
L’Italienne, custodita a Zurigo. Due lavori realizzati a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, nel 1917, ma completamente distinti nello stile. Più classico e naturale l’Arlecchino, geometricamente cubista la figura della donna italiana.
Ma il 1917 è anche l’anno in cui Picasso, nel mezzo di una vita ricca di spostamenti, arriva a Roma. Un soggiorno di dieci settimane, che la mostra certifica e documenta attraverso una serie di lettere, fotografie e materiali originali, durante il quale l’artista visita il tempio della classicità accompagnato da importanti frequentazioni, trovando il tempo per realizzare due capolavori come
Arlecchino e donna con collana e la succitata Italienne di proprietà della Fondazione Bührle. Che dopo novant’anni tornano così nella città dove furono concepiti.
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NO...!! NO.....!! Picasso NON è mai stato surrealista (ok aveva partecipato ad una loro esposizione una volta!) nè tantomeno astrattista!!( l'arte astratta non esiste affermava infatti). Perchè "costringerlo" anche in questi due "ismi" surrealismo ed astrattismo appunto? non è abbastanza ciò che ha fatto??
PICASSO ASTRATTISTA??? MA SEI FUORI??
hai mai provato a leggere qualcosa su picasso?? è tutto tranne che astrattista!! vergogna!!!!!