Duchamp docet. Il primo impatto con l’opera di
Bertrand Lavier (Châtillon-sur-Seine, 1949; vive a Parigi e Aignay-le-Duc) rivela subito la sua matrice, che include
Frank Stella,
Walt Disney e
Hans Arp.
Non a caso, il percorso dell’antologica allestita a Villa Medici ha inizio nel vestibolo, con le labbrone rosse di
La Bocca/Bosch in primo piano e la scenografica visione prospettica della statua di Luigi XIV nel punto di fuga. Labbra morbide, come si addice a un canapé rivestito di tessuto. Il piedistallo, invece, altro non è se non un ingombrante congelatore bianco.
È un viaggio per tappe cromatiche, questo tuffo nella declinazione artistica del francese. Quaranta opere che riassumono la sua attività, dal 1978 a oggi,
chantier dopo
chantier.
Il nero è il punto di partenza. Nera è la pittura acrilica usata per dipingere, nella loro interezza, due pianoforti che si guardano. Quello a mezza coda è uno Steinway & Sons, l’altro è uno Young Chang-Arthur Martin. Quella di Lavier è una poetica del dipingere, sovrapporre, dislocare, delegare, prendendo in prestito le parole di Giorgio Verzotti: “
Non è l’ironia che entra in campo”, spiega il curatore, “
ma un senso molto forte di estraniazione. La pittura ricopre uniformemente le superfici e imita il colore sottostante, in tutti i particolari; l’oggetto è sottoposto a una sorta di maquillage che da un lato lo conferma del suo aspetto esteriore, dall’altro lo estrae dal suo contesto abituale.”.
Il rosso, l’arancio e il blu introducono all’esplosione di tubi al neon colorati. L’argento si riflette dalle recenti sculture in bronzo nichelato: una sorta di altare ancestrale dedicato all’arte primitiva. Dal bianco delle pareti si staccano i cimeli della modernità: una motocicletta accartocciata, un blocco di cemento, uno skateboard, una sega elettrica, lo sportello di un frigorifero su cui si legge la marca (Bendix, per la cronaca).
Sullo schermo della sala cinematografica di Villa Medici è proiettato
Four red in dark, film che trae il titolo da un dipinto di
Mark Rothko. “
La fissità estatica che dovrebbe prendere l’osservatore dell’opera reale”, spiega ancora Verzotti, “
per la percezione della quale il grande pittore americano raccomandava determinate condizioni spaziali e di illuminazione, in Lavier diviene la fissità dello spettatore, la passiva condizione del consumatore di immagini”.
Torna un pizzico di giocosità in presenza della fontana in giardino, già realizzata nel 2000 e riproposta in quest’occasione nell’installazione di coloratissimi tubi di gomma.
Société générales, infine, è il site specific che conclude il percorso. Un ironico gioco di geometrie e colori sulla facciata interna dell’edificio, con bassorilievi in ceramica che citano i loghi di banche. L’estrema sintesi della decontestualizzazione.