Secondo Martin Heidegger l’esistenza umana,
per non trasformarsi in angosciosa fuga di fronte al nulla, non deve chiudersi
nell’intimità, ma al contrario aprirsi verso la percezione dell’esserci allo stesso livello
degli altri individui. Non ci è dato conoscere ogni entità separata da noi se
non attraverso la sua manipolazione simbolica: emblema del desiderio di
offrirsi all’altro e, al contempo, di violarne l’intimità inviolabile.
Violazione di domicilio, dunque, quale metafora
di una proiezione del sé, dove l’oggetto “casa” si presta come nessun altro a
simbolizzare la realtà psichica, e l’azione del violare può intendersi come
ponte tra l’io e l’altro, tra il mondo interno e quello esterno.
In quest’ottica l’opera d’arte è
assimilabile oggi a una “privata dimora in quanto è quasi sempre espressione
intima di un artista e resta per sempre di appartenenza ideologica dello
stesso”,
scrive Guido Cabib, curatore della mostra.
Ecco allora lo storico spazio della Galleria
Sala 1 – che con questa collettiva inaugura la collaborazione/contaminazione
con Changing Role – trasformarsi in palcoscenico per una narrazione a
quattro voci, ora ironica ora drammatica. A
cominciare dall’installazione Bed 7 di Jacopo Benassi. L’immagine di una stanza d’ospedale: il
letto vuoto, le pareti tappezzate di foto ritraggono l’artista in varie fasi
del ricovero. Affiora qui il disagio dell’infermità attraverso una
rappresentazione realistica sfalsata dal gioco di simulazione. Benassi,
attraverso la parvenza di se stesso, ci consente di visualizzare i suoi nodi
psichici.
Arianna Carossa, con Interno di
famiglia – Cinque meno uno, indaga il conflitto tra dipendenza affettiva e
autonomia: dolorosa quanto necessaria morte simbolica dell’identità legata al
passato. Il servomuto ligneo, oggetto genuflesso e svuotato dalla sua funzione,
in confronto all’oggetto-simulacro delle foto o all’oggetto-realistico ma di
proporzioni ridotte, posti accanto, ritrova autenticità in virtù della sua stessa
devianza.
E, ancora, Nero (Alessandro
Neretti)
con Quando qualcuno mi studierà, lettiga ricoperta di pellicce cucite
assieme, richiama il catafalco tribale e per estensione, la morte archetipa.
Evidenzia l’impossibilità di una pelle intatta quale involucro corporeo, che
garantisce all’anima personale, l’individualità.
Dal
riverbero verdastro spicca in fondo Confortably Numb di Matteo Sanna: riproduzione
miniaturizzata del suburban cottage made in Usa. Attraverso le finestre, una
scritta al neon, decifrabile solo se guardata in posizione prona, recita: “Death
to the people of Lot”. Ecco dunque concretizzarsi la natura degli spettri che
infestano la nostra casa interiore: intolleranza, indisponibilità
all’accoglienza, odio per il diverso. E di solitudine struggente, angoscia
della diversità, inciampi emotivi raccontano anche gli altri lavori di Sanna,
da Joy Division, barriere di filo spinato, a Hurry up, catena di manette e
ancora,
Leave a scar, quaderno autografo del padre: “Tutto ciò che non uccide
lascia una cicatrice”.
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Matteo
Sanna in solo show da Changing Role
lori adragna
mostra visitata il 23 aprile 2010
dal 9 aprile all’otto maggio 2010
Violazione di domicilio
a cura di Guido Cabib
ChangingRole@Sala1
Piazza di Porta San Giovanni, 10 – 00185
Roma
Orario: da martedì a sabato ore 16.30-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 067008691; salauno@salauno.com; www.salauno.com
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