Lo spazio Punctum inaugura la prima personale del giovane artista romano Vincenzo Rulli (1980). La mostra, a cura di Eleonora Sgaravatti, presenta due lavori site-specific in cui l’artista elabora il mito del Minotauro come rappresentazione dell’uomo alla ricerca di se stesso.
L’esposizione nasce dall’incontro tra l’artista e la curatrice, la quale già da tempo pensava alla possibilità di sviluppare un progetto con uno studente dell’Accademia di Belle Arti. “Il nostro dialogo, avvenuto un po’ per caso”, afferma l’artista, “ad un certo punto si è incentrato sul rapporto con la vita e l’importanza di riconoscerle un’anima. L’entusiasmo di entrambi è cresciuto nello scoprire quanto attuali fossero le problematiche poste da questo mito.”
Il primo lavoro, caratterizzato da due telai paralleli, vede rappresentati il Minotauro e Teseo, come due parti opposte eppure entrambe presenti nella natura dell’uomo. Quest’opera, posta all’ingresso dello spazio, risulta di forte impatto visivo: grazie ad un paziente lavoro di tessitura di circa 1700 metri ininterrotti di lana bianca, le due figure vengono unite facendo passare il filo da un telaio ad un altro. “Ho ricamato in un silenzio quasi religioso”, confessato Rulli, “scoprendo quanto ciò fosse una grande urgenza della mia mente”. Ad animare questo lavoro è una forte simbologia: il Minotauro è la zona conscia dell’uomo, Teseo rappresenta la parte umana inconscia e istintiva. Arianna, attraverso il filo bianco, è l’anima capace di ricucire due facce di una figura originariamente unica. Attraverso la riconciliazione tra le due personalità in conflitto, conscia ed inconscia, inizia un processo interiore di individuazione personale che porta alla liberazione dai condizionamenti subiti e dunque dall’essere mostruoso che abita in ognuno di noi. Al fine di ritrovare una purezza originaria.
Il secondo lavoro è realizzato con carton plume, plexiglas e immagini retroproiettate su policarbonato. La struttura, seppur diversa dal primo lavoro, in realtà è esattamente la stessa: l’autoritratto è un labirinto prospettico che acquista la funzione di specchio, è lo spazio in cui avviene la ricerca della propria identità attraverso il confronto continuo con l’alterità. “Le riprese”, racconta ancora l’artista, “sono state una parte lunga ed importante soprattutto perché la maggior parte delle persone non le avevo mai conosciute. Mi affascinava l’idea che proprio uno sconosciuto potesse far parte del mio autoritratto e quindi di me”. Le figure del mito (Minotauro, Teseo e Arianna) sono le tre parti compresenti nell’uomo e il lavoro sull’autoritratto si basa su un sistema percettivo in cui convivono sia il bidimensionale che il tridimensionale. Se in molteplici punti le parti della figura giocano nello spazio e dunque nel presente, in un punto esse tornano ad essere bidimensionali, comprensibili, ma impercorribili. Come il passato e il futuro. L’uomo attraverso il mito esprime il suo relazionarsi alla trascendenza. Il sacro, infatti, impossibile da soffocare, emerge attraverso mitologie collettive e idoli.
fabrizia palomba
mostra visitata il 12 luglio 2007
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