Cita
Lucio Fontana sorridendo, ma solo per spiegare il gesto del forare la materia.
Anne-Karin Furunes (Orland, 1961; vive a Trondheim) ammira piuttosto il lavoro di
Felix Gonzales-Torres per quel suo modo di affrontare tematiche politiche in maniera poetica. Opere, peraltro, abbastanza lontane dal suo orizzonte creativo.
Artista norvegese, Furunes presenta a Roma, per la prima volta, due diversi progetti. Alla Galleria Traghetto sono tre le opere esposte: l’installazione
The Passage (2008) e due volti della serie
Portraits of pictures (2008). Fil rouge, l’anonimato e il bianco e nero. Volti anonimi che l’artista recupera attraverso un meticoloso lavoro di ricerca o che cattura attraverso l’obiettivo della macchina fotografica.
Raramente è lei l’autrice degli scatti, come in
The Passage. Una fotografia scattata a Pechino a un gruppo di persone sconosciute, cristallizzate nell’attesa di qualcosa. Un frammento della messinscena del divenire quotidiano. Passanti che, a loro volta, osservano con una certa sorpresa ciò che sta avvenendo davanti ai loro occhi. Tra di essi, un ritratto femminile che sembra isolato dal contesto. Una storia nella storia. La percezione è una componente fondamentale per Furunes, che sceglie di inserire la fotografia in una sorta di griglia forata, attraverso la quale l’immagine acquisisce tridimensionalità e allo stesso tempo una nuova identità. A seconda della distanza da cui si osserva l’opera, poi, questa si ricompone in una visione nitida o sfocata, astratta o reale.
Se in
The Passage la superficie forata è in alluminio, proprio per esaltare le potenzialità riflettenti del metallo, nei due volti di
Portraits of pictures il “velo” è una tela dipinta di nero. La presenza o assenza della luce, il gioco delle ombre, modula l’implicazione psicologica.
Portraits of picture è il risultato di una ricerca che l’autrice porta avanti da anni all’interno di archivi pubblici e privati. La foto d’archivio non viene ritagliata, eliminando quei dettagli informativi superflui e concentrandosi piuttosto sull’espressione, sull’intensità di uno sguardo. Particolari che diventano fondamentali nella ricostruzione dell’identità.
“
Gli svedesi hanno una certa passione per la catalogazione e la razionalizzazione”, spiega l’artista facendo riferimento a Linneo e al suo procedimento sistematico per ricostruire la genealogia degli organismi viventi. Seguendo una metodologia di classificazione analoga, per circa cinquant’anni in Svezia è stato sviluppato un programma segreto – reso noto solo negli anni ’70 – al fine di identificare le cosiddette persone “anormali” e favorirne la sterilità, per ottenere così una società “ripulita” da elementi indesiderati.
Riappropriarsi di quei volti è per Anne-Karin Furunes un dovere morale. Per rendere loro la dignità negata.