Dopo le mostre di
Cy Twombly e
Richard Prince, continua la sfilata capitolina dei grandi nomi della squadra Gagosian, con uno degli artisti più prolifici del panorama contemporaneo,
Georg Baselitz (Deutschbaselitz, 1938). L’artista tedesco, noto per suoi dipinti capovolti, realizzati a partire dalla fine degli anni ’60, e ispirato dall’arte prodotta da persone affette da disturbi mentali e da altri soggetti emarginati, giunge a Roma per presentare parte di una serie tuttora in corso.
Una mossa intelligentemente calcolata da Gagosian, pochi giorni dopo la conclusione dell’eccezionale retrospettiva al Madre di Napoli; il paragone risulta tuttavia alquanto deludente, sia con la straordinaria mostra partenopea che con le precedenti mostre presentate fino a oggi nello spazio romano.
Le numerose interpretazioni scientifiche e soprattutto psicologiche della masturbazione – come la tesi freudiana, che la considera un sollievo inadeguato della tensione libidica – costituiscono l’autentico filo conduttore e chiarificatore del percorso proposto da Baselitz. In questo senso, lo storico dipinto
Die Grosse Nacht Im Eimer (1962-63), esposto per la prima volta a Berlino, sequestrato dalla polizia per il suo contenuto provocatorio e ora nella collezione del Museo Ludwig di Colonia, viene riesaminato alla luce della sua eventuale interpretazione nella società contemporanea.
La versione originale, critica lacerante contro una Germania ancora immersa nell’incubo economico del dopoguerra, rappresentava un ragazzo anonimo, tratteggiato sommariamente in una composizione a metà tra il figurativo e l’astratto, nell’atto di masturbarsi. L
’aggressività e l’inquietudine che si evidenziavano attraverso lo sfondo completamente nero, asimmetrico, ostile e carico di tensione, creavano un ambiente opprimente, saldamente bidimensionale, dove i colori lugubri e saturi urlavano per manifestare un disagio abissale, personale e collettivo.
Invece, nelle diverse versioni presentate a Roma, lo sfondo prevalentemente bianco crea ambienti neutri, dove figure in toni chiari, intensi e brillanti si configurano gradualmente attraverso gesti violenti, in cui le pennellate si rafforzano, diventando più fugaci, immediate. Il precedente linguaggio, nel quale l’atteggiamento nichilista negava in modo definitivo e radicale qualsiasi traccia di valori o vitalità, cede il passo a una serie più vivace, più energica, ma anche più distante, fredda, veloce e frammentaria.
Così, la cultura depressa e oppressa del dopoguerra si trasforma nell’attuale società della comunicazione globale, dei contatti anonimi e labili; la nazione assillata dai debiti economici e ancorata all’inferiorità morale della sconfitta si trasfigura in un contesto politico ambiguamente e pericolosamente sereno. Dove la staticità e la passività statale è definitivamente cancellata, per enfatizzare la dinamicità e la determinazione individuale dell’uomo contemporaneo, che la pittura può mantenere in uno stato di continua veglia.