In mezzo a tanti discorsi correnti
su e-book, Kindle e altri vari ed eventuali dispositivi di lettura, sorprende e
rassicura scoprire come la forma del libro possa ancora esser presa in
considerazione, prima che per le sue mere funzioni pratiche, per il suo ruolo
di oggetto culturale: un oggetto preso per tema di rivolti colti e originali,
dove una sensibilità per così dire musicale si associa a solida prassi manuale.
Elisabetta Gut (Roma, 1934) ha dedicato gran parte
della sua lunga carriera a sviluppare un personale rapporto di rilettura
artistica dei libri e delle carte scritte, realizzando interventi che giocano
con i volumi e le strutture del testo – dalle rilegature alla forma delle
pagine -,attraverso sapienti rimontaggi, incroci materici dove le pur evidenti
assonanze con le sperimentazioni di sapore surrealista da
objet trouvé non impediscono mai di rispettare
il contenuto letterario dell’opera.
Si osservino alcune delle opere
presenti in questa mostra appartata e affascinante: in
libro-foglia, ad esempio, l’artista
ridefinisce l’idea di diario manoscritto inducendo l’osservatore a sfogliare un
piccolo volume che rilega gioiosamente cultura e natura. Si tratta di una
strategia ricorrente, come dimostrano pure
poemobject o
libro-ombra, altri lavori in mostra, animati
dal canto loro dall’inserimento di elementi botanici (rami, fiori) dentro libri
a stampa di soggetti poetici affini.
Qui, quasi dalla parola germinasse la
materia, si assiste così a un singolare incrocio fra oggetto e idea, pronto a
svilupparsi (impollinare, verrebbe da dire seguendo la suggestione di un titolo
sospeso tra semi e segni) anche i lavori dimensionali in cui la centralitĂ
organizzativa viene assegnata ora alla calligrafia e alle sue danze
d’inchiostro, ora allo sfaldamento impercettibile del supporto cartaceo.
Niente di inedito, si dirĂ , se ci
si mette superficialmente a ripercorrere la messe di avanguardie verbovisive
che hanno attraversato il secolo scorso. Pure, come giustamente considerato
nell’introduzione di Mirella Bentivoglio alla mostra, l’operazione di
Elisabetta Gut si distingue per la sua primitiva e sovrastante formazione
artistica (in giovinezza ha collaborato ed è stata stimata da artisti e critici
come
Lucio Fontana e
Nello Ponente)
piĂą che per quella letteraria tipicamente originaria delle esperienze appena
citate.
Si tratta di un’operazione, insomma, che parte da un artista visivo,
non da un poeta, e la consapevolezza materiale caratterizza in effetti tutti i
libri-oggetto dell’artista, infondendo in essi una misura compositiva di grande
impatto, che le piccole dimensioni finiscono per amplificare ulteriormente.