C’era una volta
un futuro: il
titolo della collettiva curata da Anna Simone e Antonia Alampi mostra una
contraddizione in termini e introduce subito al paradosso della contemporaneità.
In un presente sospeso fra i retaggi del passato che grava sull’inadeguatezza
dell’oggi, e la prospettiva di un futuro incerto sempre più imminente, il
progetto trae ispirazione dalla condizione di precarietà endemica del tempo in
cui viviamo.
Intercettato un
ambiente espositivo “anomalo”, in quanto luogo non deputato all’arte, la mostra
propone un modello di sviluppo del fare artistico che, se da un lato lo riappropria di una
più autentica comunicazione, dall’altro lo stimola alla consapevolezza delle
proprie risorse. L’ex fabbrica di materassi di via dei Volsci, un vecchio
edificio degli anni ‘70, si configura dunque come un non luogo in cui
germogliano le incoerenze della moderna “società liquida”, per dirla alla Zygmunt Bauman.
Undici gli artisti
invitati (alcuni già noti, molti alla prima uscita) che, sfidando le
problematiche architettoniche dello stabile e la varietà dei linguaggi
utilizzati, hanno realizzato altrettante opere site specific, la cui
complessità traccia una mappatura esaustiva del loro potenziale sovversivo. A
partire dalla videoinstallazione di Agnese Trocchi che, schernendo il lessico
giornalistico, sollecita una riflessione sui media, che inducono l’uomo alla
paura e all’isolamento. Luca Cutrufelli, con R, ha invece creato un deserto di pietre pomici in una
stanza, a sottolineare il pericolo di un futuro sterile e improduttivo.
Semplice ed
efficace l’opera di Thomas Bugno che, ricalcando a matita le irregolarità presenti sulle
pareti, ha ottenuto una sorta di cartina geografica emersa dalle tracce
naturali. Air
di Alessandro Giuliano rappresenta il momento di cambiamento, dove la tecnologia analogica
cede il passo a quella digitale. E Christian Niccoli, nella sua videoistallazione,
parafrasa l’ideologia postmodernista con la raffigurazione metaforica di
persone fluttuanti nel mezzo dell’oceano.
Valentino Diego e
Francesco Landolfi, uniti sotto il nome Elettrophonica, presentano un’istallazione che
traduce i rumori a bassa frequenza presenti nell’ambiente in suoni udibili. Marco
Fedele di Catrano
ha pensato, invece, una riconfigurazione architettonica: appendendo alcune
porte in uno stretto corridoio, ha prodotto un effetto straniante di
ri-codificazione spazio-temporale.
L’Altalena impossibile è opera di Marco
di Giovanni,
realizzata con materiali di risulta e incastrata senza possibilità di movimento
in uno spazio troppo angusto. Più calato nell’attualità politica Michele
Giangrande, che
ha trascritto su un nastro per etichettatrice la lettera in cui Pierluigi Celli
consigliava al figlio di lasciare l’Italia, pubblicata non molto tempo fa su La
Repubblica.
Transfert della
quotidianità è la stanza di Dario D’Aronco: arredata come un comune ambiente domestico, con
un divano e un televisore che proietta in loop prima la parola ‘Italia’ e poi,
in una tautologia continua, un ambiente fatiscente molto simile all’originale.
Infine, la videoistallazione alphA 29 di Giorgio Orbi racconta proprio dei non luoghi, in cui i riferimenti,
sia fisici che emotivi, sono scanditi dal rumore della pioggia e di voci di
fondo.
Lo spirito,
l’approccio curatoriale, l’energia delle opere proposte fa di C’era una
volta un futuro
un unicum degli ultimi anni. Una mostra cui si potrà attingere alla ricerca di
nuovi talenti creativi e organizzativi. Una dimostrazione di quanto le idee
contino assai di più dei budget a disposizione. E della sicumera snob del
giovane curatore medio.
francesca de
filippi
mostra visitata il
14 marzo 2010
dal
5 al 19 marzo 2010
C’era
una volta un futuro
Associazione
Culturale Opera Rebis
Via dei Volsci,
114/116 – 00185 Roma
Orario: da
giovedì a sabato ore 18-21
Ingresso libero
Catalogo
disponibile
Info: mob. +39
3661880377; opera.rebis@gmail.com; www.operarebis.com
[exibart]
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