Sulla scia della mostra Real/Virtual allestita a Torino nel 2011 in occasione di Artissima 18 e curata da Adriana Polveroni, Gregorio Samsa stavolta ha scelto la città di Roma per portare avanti la sua riflessione sulla rappresentazione plurima dell’IO, su quell’idea di duplicazione che rimanda al famoso dibattito su realtà, copia e copia della copia che appartengono alla storia dell’arte sin dall’epoca della sua riproducibilità. Per questo nuovo progetto l’artista ha dislocato il frutto del proprio lavoro in due luoghi non propriamente atti a tale destinazione – il Cinema America occupato a Trastevere, una vetrina in Via del Governo Vecchio – seppur intimamente legati ad un’idea di arte in senso più esteso.
Durante la sola giornata di mercoledì 27 novembre 1+1=1 – un titolo che sembra un rompicapo – costruisce un’atmosfera di totale assorbimento nell’immagine che diventa azione. Complice la sede del Cinema America, sul grande schermo l’attore Eric – alter ego dell’artista – interpreta i sette ritratti ad olio precedentemente presentati a Torino, seduto su di un vuoto che nella realtà lo spettatore scopre avere le sembianze di un parallelepipedo, all’interno dell’installazione Ring. Come un moderno Narciso lascia intravedere il suo volto riflesso in un cerchio d’acqua specchiante, ritornando ad aprire ancora uno sdoppiamento: egli è soggetto della rappresentazione e, allo stesso tempo, rappresentazione stessa. Le sue sembianze sono nascoste dietro una maschera sorridente dipinta su di un casco da schermidore. Questi, si fa interprete di una finzione su più livelli: da una parte l’io dell’artista si declina dietro gli archetipi tipici dello specchio e della maschera; dall’altra egli è al centro di una sala costipata di attrezzi e macchine legate al mondo del cinema, che lo rendono protagonista di un nuovo Thruman Show. Nella realtà Eric non c’è più, non esiste in questa dimensione nella quale il pubblico può attraversare l’installazione come uno di quei giochi usati dai bambini per conoscere le forme geometriche, ma in scala amplificata.
Anche nella perdita (apparente) di autorialità di Hungry Ghost la presenza di Eric-Samsa è latente: nella vetrina di un locale adibito a laboratorio d’arte a pochi passi da Piazza Navona, torna la figura dello schermidore, stavolta nelle sembianze di un totem circondato da 144 tavolette che ne riportano una copia; in basso, sulla sinistra, un artista cinese – che resta volutamente anonimo e dal titolo non casuale Il Sembiante – viene ripreso nell’atto del dipingere. Ancora una volta lo spettatore assiste ad una duplicazione, pur non potendo vedere fattualmente il modello in posa: Eric è una sorta di ectoplasma, che non può essere percepito se non nella sua rappresentazione. Ci si trova davanti solo a mere copie (e copie delle stesse). L’arte è messa in vetrina e il pubblico non può avervi accesso, può solo dedicarsi a un voyeurismo a tratti curioso, a tratti consapevole di quel che sta vedendo. Come nel caso di Ring, Eric non è percepibile se non in una dimensione di alterità, di finzione, di rappresentazione.
Un lavoro denso quello di Samsa, così spesso da risultare quasi difficile da cogliere nella sua interezza. Ogni piccolo spiraglio aperto si propone fertile alla nascita di ulteriori riflessioni, innescando una sorta di stream of consciusness impossibile da arrestare.
Fondamentale, allora, la temporalità in un evento come questo, la cui estemporaneità lo avvicina alla caducità visiva e fisica di una performance. 1+1=1 è un titolo sintomatico del superamento di un individualismo: parafrasando le parole scritte da Tonino Guerra per il film Nostalghia una goccia di olio più un’altra goccia, come fa dire il regista a Domenico, non fanno due gocce, ma una sola goccia più grande.
In un gioco dinamico fra sdoppiamento e duplicazione della rappresentazione e partecipazione di autorialità resta una traccia assolutamente non trascurabile: l’opera d’arte, per essere tale, è ancora qualcosa di fisico, una reazione alla percezione, un’azione partecipata da conservare nella memoria.
Su Exibart.tv è possibile vedere il video delle due opere.
Alessandra Caldarelli