Lagom. Una parola intraducibile in italiano, ma che per gli svedesi indica un concetto fondamentale: né troppo né poco, al punto giusto. La definizione adatta per uno stile di vita, quello dei moderni vichinghi, che si rivela lagom, adeguato, per molti aspetti: un sistema sociale esemplare, il contatto vitale con la natura, l’amore per la raffinatezza degli ambienti quotidiani e la capacità di una complessa riflessione esistenziale. Ma che nello stesso tempo agli altri popoli evoca gli spettri della depressione, dell’isolamento e dell’elevato tasso alcolico. Luoghi comuni? Scopriamo la Svezia! -il festival dedicato alla cultura svedese- in programma a Roma fino a metà gennaio è un valido aiuto per capire fino a che punto l’immagine corrisponda alla realtà.
E visto il programma, c’è da scommettere che pochi rimarranno delusi. Gli eventi presentati sono vari, abbracciano una visione ampia della vita culturale svedese, sia passata sia contemporanea. Cinema, arte, design e storia –rigorosamente made in sweden– invaderanno Roma, con una serie manifestazioni dislocate nel centro storico della capitale.
La mostra evento è indubbiamente quella a Palazzo Ruspoli sulle collezioni reali svedesi del XVII-XVIII secolo, con particolare attenzione alla figura di Cristina di Svezia, regina irrequieta che nel 1654 abdicò al trono per venire a godere della dolce vita romana.
Intorno, si dipanano le mostre di
Oggetti di uso comune, loghi pubblicitari e immagini naturalistiche servono come spunto – spesso giocoso e seducente – per un’analisi profonda e rigorosa della realtà. Henrik Håkansson e il gruppo Front chiamano in aiuto dell’uomo contemporaneo gli insetti e le piante, tramiti primitivi in grado di farci percepire diversamente l’ambiente quotidiano che ci circonda. Le installazioni di Peter Geschwind, gli oggetti e le insegne di Gunilla Klingberg parlano chiaro: utilizzare i materiali a disposizione per fornirgli una nuova veste, esteticamente vivace e insolita. Stesso effetto nelle opere di Katarina Norling, dove ogni cosa ordinaria diventa emblema di una realtà fantastica e inconsueta. Il rapporto tra l’uomo e il proprio habitat non è certo sempre percepito come idilliaco e lo dimostrano gli esperimenti al limite della sopravvivenza portati avanti della coppia Bigert & Bengström o le immagini drammatiche di Linn Fernström, emblema della solitudine interiore in ambienti vistosamente chiassosi. Rigore e interiorità negli ieratici autoritratti orientaleggianti di Fredrik Wretman o nei monocromi essenziali di Albin Karlsson. In mostra anche le opere di un maestro come Håfström, tornato all’arte figurativa dopo le sperimentazioni più varie dagli anni ’60 in poi. In tutti si percepisce la dicotomia ordinario/straordinario che dà il sottotitolo alla collettiva, curata da Lorella Scacco e Jan Åman.
A latere una mostra – Luce e Linee – che mette in luce la funzionalità e la raffinatezza del design svedese, tra gli abiti di Hjördis Augustdottir e i vincitori del Premio dell’Excellent Swedish Design.
Gli appuntamenti più numerosi sono quelli col cinema; un nome per tutti, Ingmar Bergman. Un’ampia retrospettiva (28 titoli) ci riporta alle atmosfere lucide e introspettive dei suoi film, mentre una mostra ce lo racconta Prima che Ingmar diventasse Bergman. Qui quale saranno esposti manoscritti, sceneggiature e fotografie
Una scoperta/riscoperta di un mondo che sembra geograficamente e intellettualmente lontano ma che in realtà nasconde un’identità complementare alla nostra, da valutare come estremamente stimolante per un confronto culturale. Forse, al di là dei luoghi comuni, tutte le strade portano ancora a Roma…
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