La nuova Ara Pacis di Richard Meyer, il Maxxi di Zaha Hadid, i Mercati generali trasformati da Rem Koolhaas in “città dei giovani”: questi gli interventi che vedranno Roma sottoposta a un lifting radicale. La città eterna, imbalsamata nella sua facies monumentale, si appresta a vivere una seconda giovinezza, sfoggiando un look avveniristico da capitale internazionale. Ma Roma, sede di un vivace laboratorio progettuale e architettonico, rappresenta una realtà molto più complessa e sfaccettata. A ricordarlo, la rassegna di video, film e documentari che, dal 9 al 13 maggio, si è svolta nell’Aula Magna dell’Università “La Sapienza”. Iperurbs-Visioni di conflitto e di mutamenti urbani ha aperto sguardi “altri”, laterali, sulla città, esplorata a tutto campo e “fuori pista” dal circuito delle mete turistiche e degli spot da cartolina. Una circumnavigazione alla scoperta delle sue facce nascoste, oltre l’hortus conclusus, magico e senza tempo, del centro storico. Come non ricordare l’analoga perlustrazione –Il giro di Roma– degli Stalker, realizzata percorrendo a piedi il Grande Raccordo Anulare, nella campagna suburbana tutt’altro che idillica, popolata di baracche e greggi al pascolo?
La stessa frizione è emersa dalla giornata dedicata a “Le culture del conflitto”, tra il fenomeno di costume –cinegiornale Radar sui capelloni– e aspetti significativi della subcultura giovanile. Tra i documenti proposti, “Un gioco da ragazzi” di Leonardo Franceschi (Joe) e Stefano Proietti (Nico), che con i TRV hanno segnato la storia del writing capitolino.
Il filmato autoprodotto raccoglie testimonianze dirette su uno sfondo vagamente clownesco –il travestimento mimetico con baffi, nasi e occhiali– in un mix di video-performance e spaghetti western. Racconto aneddotico e tentativo di compiere una prima retrospettiva su un fenomeno che, per quanto d’importazione, è attecchito con una fioritura inattesa sui muri calcinati dell’Urbe. In veste di grande vecchio, con la barba da nonno -o, forse, da filosofo- Stand, che ricorda il primo treno della metropolitana dipinto a Roma da lui e da Crash Kid: “un gioco da ragazzi” e, da allora, continua l’assalto dei writers ai non-luoghi urbani, per conquistare spazio e visibilità.
Altro momento “topico” quello raccontato per immagini e in viva voce da Duka riguardo all’esperienza di Radio Onda Rossa, poi Assalti Frontali: musica, impegno politico, esperienza nei centri sociali e ricerca di una terza via al mercato, tramite l’autoproduzione e la salvaguardia di prezzi popolari, contro il monopolio delle major discografiche. Infine, lo stadio come metafora del conflitto e zona franca in cui riguadagnare terreno, tanto fisico, quanto espressivo. I bisogni della gioventù romana anni Ottanta appaiono, sorprendentemente, gli stessi: sfuggire all’emarginazione, essere protagonisti, sentire di appartenere a quel luogo, contrassegnandolo con i propri simboli, visivi e sonori.
La città, dunque, come paesaggio culturale, oggetto di contesa per la rivendicazione di spazio, percepito come un’esigenza primaria. In ciò, convergono l’appropriazione segnico-iconica dei writers e quella, più coreografica e plateale, degli Ultras della Roma. Il cerchio si chiude con un ricordo di Duka (Assalti Frontali) dedicato all’amico Geppo, agitatore della curva e, a fine anni Settanta, ideatore di una tag ante-litteram, con cui era solito firmare i suoi slogan anti-laziali.
maria egizia fiaschetti
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