Ogni spettacolo di Romeo Castellucci e della Socìetas Raffaello Sanzio è una esperienza nuova. Non è semplice teatro, non basta come definizione.Tutto il corpo entra in gioco. Anche in quest’ultimo, dal titolo The four seasons restaurant, tutti i sensi vengono chiamati all’attenzione.
Al principio il rumore del buco nero, poi le protagoniste che con un gesto di sofferenza si tagliano tutte la lingua. E l’udito che diventa da subito elemento fondamentale, perché la difficoltà dell’ascolto, della comprensione, pone lo spettatore ad alzare la soglia dell’attenzione, fino a che si intende che non è così importante cosa stiano dicendo – affermazione fatta anche dallo stesso Castellucci nel talk successivo allo spettacolo andato in scena per il programma di RomaEuropa festival – ma lo è il suono, delicato e soave delle parole sussurrate appunto dalle attrici. Attrici che raccontano la Morte di Empedocle di Hӧlderlin, dove anche quando i protagonisti sono maschili il loro ruolo è ricoperto da donne, queste donne che raccontano la solitudine, il rifiuto.
Il corpo viene attratto dai movimenti delle attrici, che raccontano con posture ben definite significativi quadri rinascimentali, dove l’occhio può sognare ancora. Nella tragedia che si va raccontando lo sguardo viene risucchiato da queste figure eterne che idealmente nascono vestite per poi spogliarsi e dipartire, per lasciare lentamente il teatro vuoto. E quando il palcoscenico si chiude, e il buio pervade gli sguardi di tutti, ecco arrivare fortissimi ed impetuosi rumori, che fanno sobbalzare gli spettatori dalle sedie, e che attraggono nuovamente tutti, esattamente come le parole sussurrate al principio.
Un teatro non di facile lettura, dove le proprie conoscenze certamente consentono letture più strutturate e di supporto, ma dove l’anima ancora può permettersi di volare alto, dimenticandosi per un attimo il rumore di fondo del mondo esterno.
Il titolo è tratto dalla controversia in cui si trovò Mark Rothko nel 1958, quando appunto il ristorante Four Seasons gli commissionò alcuni quadri; l’artista, dopo aver accettato cambiò idea e quei quadri ora si trovano a Londra, Tokyo e Washington. Non c’è un riferimento ovvio allo spettacolo, ma ricalca ancora quel concetto di negazione che traccia la linea dello spettacolo, di questo ma anche dei due precedenti, Sul concetto di volto nel figlio di Dio, e Il velo nero del pastore. «Accetto la contraddizione di togliere e del mostrare di togliere», afferma proprio Romeo Castellucci, di fronte ad un pubblico gremito presente al Teatro Argentina per la prima nazionale, rimasto ad ascoltare le sue parole che come sempre aggiungono liricità a lavori già così poetici.