Categorie: roma

TUTTOFUOCO TUTTALUCE

di - 29 Ottobre 2007
Parlami di Future city, l’installazione realizzata per Enel Contemporanea in Piazza del Popolo a Roma.
È una struttura composta da pannelli modulari per casseforme, che si usano in edilizia e in architettura per gettare le fondamenta. Dal punto di vista concettuale rappresentano la base di un cantiere. L’installazione costituisce un collegamento tra una parte e l’altra della piazza, ne mette in collegamento l’inizio e la fine. Ho osservato come le persone interagiscono con essa e ho notato che la usano come un corridoio, occupando poco i due emicicli. In verità la piazza è un collegamento. Ho replicato quest’energia spontanea e reale, ripetendo quello che è già l’orientamento deciso dalle persone e il loro uso del luogo. Intervenendo in uno spazio pubblico, volevo che il lavoro accogliesse un’energia già presente nella piazza e al contempo la modificasse, perciò mi sono spostato in pianta a sinistra. Soprattutto, ho trasformato la funzione di passaggio della piazza in “esperienza” all’interno di questo collegamento che vive di criteri estetici e teorici differenti.

Quest’installazione ha nel tempo la sua centralità. Cosa vuol dire lavorare sulla nozione di tempo, su qualcosa che sembra fuori della diretta percezione e si può solo dedurre da un prima e un poi?


Questo problema è fondamentale, perché in questo caso sono stato chiamato a intervenire su un tessuto intenso, stratificato e forte come quello di piazza del Popolo a Roma. Il rapporto con la storia e con Roma si è posto subito come nodale. Ho voluto trovare un modo leggero e preciso d’inserire una nozione di tempo all’interno del lavoro. Ho scritto a lettere cubitali, ma con un materiale che si mimetizza come lo specchio, Roma 17 ottobre 2007 Piazza del Popolo, segnando data e luogo precisi dell’intervento. Nelle due settimane in cui il lavoro vivrà, racconterà con quella scritta il suo progressivo invecchiamento, entrando in dialogo con la storia e con il passare del tempo che caratterizzano Roma. L’installazione è come una linea tracciata sulla timeline. È un gioco che parla di un’idea di storia assolutamente contratta ma comunque storia.


In che modo parole e immagini s’incontrano nel tuo lavoro?

Qui la scritta pone l’attenzione su un momento del tutto normale, che però rappresenta l’idea stessa di presente, consentendo di misurare un passato e un futuro. Essa crea inoltre una condizione di “desiderata comprensione” da parte del passante, il quale inevitabilmente si chiede cosa sia successo e che valore abbia quella data, dal momento che non rientra in una serie di convenzioni con un peso storico speciale. Mi è capitato spesso di sfruttare delle parole per comunicare o raccontare un’idea, ma ciò non è riferibile a una ricerca di tipo concettuale. Certo, mi sono formato inevitabilmente anche con queste cose e c’è sempre una loro leggera eco, ma è sempre più lontana. Delle parole m’interessa quello che possono generare emotivamente o rappresentare. Recuperare l’insegna del luna park Varesine è stata un’operazione quasi romantica, legata a un mio ricordo personale. Quelle lettere rappresentavano un sentimento ben preciso per me.

Come ti sei avvicinato al mondo dell’arte?
È stato un percorso abbastanza diretto. Sin da adolescente andavo a vedere mostre e musei, anche se avevo una conoscenza superficiale e non aggiornata sul contemporaneo. Dopo il liceo mi sono iscritto alla facoltà di Architettura. Lì ho fatto esperienze che mi interessavano (e che tutt’ora m’interessano) ma che, paradossalmente, hanno rafforzato la mia distanza da certe cose e l’amore per altre. Quindi ho lasciato l’università e mi sono iscritto all’accademia, dov’è scattata la decisione d’iniziare a fare in prima persona qualcosa.

Avevi artisti che ti ispiravano?

Un artista che mi ha aperto il cervello e che credo di avere capito veramente (almeno per certi aspetti) è Alighiero Boetti, che ho studiato quando ero ad Architettura con il professor Corrado Levi.

C’è un’opera che ha un ruolo chiave nel tuo percorso artistico?
Grattacielo (2000) ha segnato un punto saldo. Vi si delinea per la prima volta una riflessione sufficientemente precisa e vi sono elementi tuttora essenziali del mio lavoro. Sia dal punto di vista estetico e formale, sia per le dinamiche progettuali e teoriche: la collaborazione con altri artisti, la condivisione dello spazio con altre persone, l’accettazione di incursioni anche aggressive all’interno di quella che è una mia idea di opera, il giocare sui limiti del concetto stesso di opera d’arte e sulla posizione dell’autore. Queste cose, valide tutt’oggi, sono già lì con consapevolezza, anche se parlare di consapevolezza è presuntuoso. Non credo che un artista possa mai essere veramente consapevole. Il suo lavoro nasce dalla ricerca, dove c’è un grande margine d’errore e un’incertezza costante, oltre alla speranza di scoprire qualcosa.

La critica lega il tuo lavoro a una tradizione avanguardistica di matrice futurista e delle tue opere sottolinea soprattutto l’aspetto futuribile che il titolo di questo lavoro sembra confermare. Leggendo però da dove nascono i tuoi lavori -penso proprio a Varesine (2005) o a Revolving Landascape (2006)- mi sembra piuttosto che la memoria, o la fantasia della memoria, giochi un ruolo determinante.

Sono d’accordo. I riferimenti al futurismo sono legati a un certo impianto formale che a volte il mio lavoro possiede. E va bene. Ogni interpretazione possibile è valida e non voglio bloccare alcuna lettura in tal senso che, in qualche modo, coglie anche nel segno. Per quanto mi riguarda intimamente, però, il microclima che si genera nella mia testa quando inizio a pensare a un lavoro è veramente più emotivo e legato ai sentimenti, al ricordo, a un luogo condiviso con determinate persone. Nel passaggio dallo stato mentale all’oggetto finito quel gas nobile che è l’idea diventa materia e in questo processo si lega al linguaggio dell’arte, in cui ci sono naturalmente eco proprie della mia formazione e della mia provenienza nazionale.

In che direzione si muove ora il tuo lavoro?
Sto cercando di renderlo più semplice ed è la cosa più difficile. Ci sono tante cose all’interno di un lavoro e a volte sono forse anche troppe. Sento il bisogno di fare pulizia per cercare di avvicinarmi a un’idea più assoluta possibile di arte, di tendere all’universale pur partendo da una mia individuale originalità. Presto cambierò inoltre il contesto attorno a me e questo avrà un peso all’interno del lavoro.

Vista l’estrema esposizione dei media che riproducono in continuazione la realtà, quanto è necessario oggi per un artista saper ricreare, interpretare, trasformare la realtà e come articoli questi tre processi?

Ricreare la realtà non è necessario all’artista. Reinventarsi un mondo reinterpretando la realtà ha invece un valore. Se nel processo di comprensione della realtà uno riesce a produrre un sentimento che possa avere un valore per lui e non solo, in quel momento sta cambiando il mondo. I cambiamenti non per forza devono essere dei grandi cambiamenti.

La bellezza ha sempre un’idea, un pensiero?
Potrebbe essere un pensiero che ha un sentimento. Nelle immagini che hanno una forza e generano attenzione un pensiero c’è sempre. La bellezza è un concetto che puoi ridisegnare e rileggere continuamente, come l’idea di arte e di opera. E questo è uno degli aspetti più interessanti di questo lavoro, che non ha per forza un compito da svolgere, come accade all’architettura. C’è una bellezza culturale che è dettata dalle regole condivise da un dato contesto e che può non trovare riscontro in un altro. E c’è una bellezza assoluta che ha a che fare con le emozioni e riesce a essere più trasversale, attraversando più contesti culturali. È questa la magia di un’immagine che riesce a imporsi nel privato di un altro essere umano o nell’immaginario collettivo di più persone, nonostante l’incomprensibilità e la mancanza di motivazioni logiche o intellettuali.

articoli correlati
Tuttofuoco per Enel Contemporanea
Personale alla Fondazione Sandretto

a cura di francesca franco


dal 17 al 29 ottobre 2007
Patrick Tuttofuoco – Future City
a cura di Francesco Bonami
Piazza del Popolo – 00187 Roma
Info: www.enel.it/enelcontemporanea

[exibart]

Visualizza commenti

  • In generale ho trovato deludenti gli esiti delle opere di questa bella iniziativa di Enel. Questa di Tuttofuoco la più sconcertante. A piazza del popolo in molti si chiedevano (italiani e stranieri) che cosa fosse e si allontanavano senza approfondire.

Articoli recenti

  • Mostre

“La Caduta degli angeli ribelli. Francesco Bertos” in mostra a Vicenza

Alle Gallerie d'Italia di Vicenza, in mostra la scultura del Settecento di Francesco Bertos in dialogo con il capolavoro "Caduta…

23 Dicembre 2024 0:02
  • Architettura

«L’umano al centro dell’architettura». La prossima edizione della Biennale di Seoul raccontata dal suo direttore

La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…

22 Dicembre 2024 19:15
  • Libri ed editoria

Quel che piace a me. Francesca Alinovi raccontata da Giulia Cavaliere in un nuovo libro

Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…

22 Dicembre 2024 17:00
  • Cinema

Napoli-New York: il sogno americano secondo Gabriele Salvatores

Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertà. La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…

22 Dicembre 2024 9:00
  • Arte contemporanea

Sguardi privati su una collezione di bellezza: intervista a Francesco Galvagno

Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…

22 Dicembre 2024 8:20
  • Mostre

Dicembre veneziano: quattro mostre per immergersi nel dialogo culturale della laguna

La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…

22 Dicembre 2024 0:02