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Via Margutta in una mattina d’autunno. La percorre a tratti una timida, pungente tramontana, franco presagio dell’inverno imminente. Qua e là piccoli vortici di immagini sfuggite da un tempo aurorale: artisti bohémien e squattrinati, avvenenti attrici holliwoodiane, la dolce vita, vacanze romane, il Circolo Artistico Internazionale al civico 54, i fratelli Peikov, Novella Parigini e gli esistenzialisti del Baretto. Ad attenderci in fondo alla strada, la galleria Russo – storica istituzione nel panorama artistico della Capitale – con le sue limpide vetrine ammiccanti. Si ricorda, con una preziosa mostra, Virgilio Marchi (Livorno, 1895 – Roma, 1960) architetto, critico d’arte, scenografo e scenotecnico, attratto, fin dalla gioventù, nell’orbita futurista dal dinamismo visionario di Sant’Elia. Per architettura si deve intendere lo sforzo di armonizzare…l’ambiente con l’uomo, cioè rendere il mondo delle cose una proiezione diretta del mondo dello spirito, affermava il geniale architetto comasco dalla tragica esile vita e di cui Marchi raccoglierà con slancio il testimone, imponendosi nella compagine marinettiana, come l’architetto più audace e rappresentativo. Il Futurismo è demolizione immediata del già fatto leggiamo nel manoscritto di una sua conferenza esposto in mostra; e ancora, Il futurismo per essere demolizione è anche ricostruzione continua.
Virgilio Marchi, Teatro Lirico Comunale di Siena, 1931, matita e carboncino su carta da lucido, mm 730 x 1080
Come attori di un dramma sintetico, percorriamo in pochi minuti l’itinerario di una vita intensamente dedicata alla bellezza: incisioni, schizzi, studi, progetti di ville (esempio: la villa Cappa Marinetti a Capri), di complessi urbanistici (a Colleferro), di edifici pubblici (come il Palazzo del Littorio a Roma e il teatro Odeon di Livorno). Da scenografo collaborò con Anton Giulio Bragaglia al Teatro sperimentale degli Indipendenti e con la Compagnia del Teatro d’arte di Roma di Luigi Pirandello; nel cinema, con Blasetti, De Sica e Rossellini. Fu un alacre sperimentatore e, col passare degli anni, altre esperienze estetiche confluirono nella nativa vena futurista. Egli stesso, ricorda la curatrice Elena Pontiggia, provò a sintetizzare il carattere della proprio percorso artistico e lo definì, rischiando l’ossimoro, futur-classico-razionale. Intendeva descrivere con questo lambiccato trinomio – riteniamo – come, a partire dalla radice primigenia, il desiderio di fissare l’elemento centrifugo, volatile del giovanile tumulto futurista, lo abbia condotto, nella maturità, all’ideazione di forme più meditate, figlie di una volontà saldamente avvinta al pensiero creativo. Ma, come possiamo constatare ripercorrendo le opere in mostra, anche laddove le esigenze progettuali, e forse la moda del momento, inducevano alla geometria ortogonale, l’architetto livornese non rinunciava a curvare le linee, ad arrotondare i volumi dinamizzando lo spazio, dandogli vita. Ci congediamo da Virgilio Marchi e infiliamo lestamente la Via del Babuino nel sole meridiano che paternamente ci abbraccia. Tra la vita e l’arte lo scarto è irredimibile. Cosa andavano realmente cercando i futuristi e i loro consanguinei?
Luigi Capano
mostra visitata il 30 novembre
Dal 15 novembre al 9 dicembre 2017
Virgilio Marchi, “Futur-Classico-Razionale.Opere dal 1910 al 1950”
A cura di Elena Pontiggia
Galleria d’arte Russo
Via Alibert, 20, Roma
Info: tel. 06 6789949
www.galleriarusso.com