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12
dicembre 2014
Allons Enfant/6
rubrica curatori
Sesto appuntamento con la rubrica dedicata ai giovani del panorama italiano. A rispondere ad Andrea Bruciati è Orestis Mavroudis
“Anche l’arte nel suo insieme non è altro infatti che un’arte di sopravvivere, questo fatto non dobbiamo perderlo mai di vista, l’arte, insomma, è il tentativo reiterato, che commuove persino l’intelligenza, di sbrogliarsela in questo mondo e nelle sue avversità, cosa che, come sappiamo, è possibile solo facendo ripetutamente uso della menzogna e della falsità, dell’ipocrisia e dell’autoinganno, così Reger. Questi quadri sono pieni di falsità e di menzogne e pieni di ipocrisia e di autoinganno, e se prescindiamo dall’abilità spesso geniale con cui sono stati dipinti, in essi non c’è nient’altro. Tutti questi quadri sono inoltre l’espressione dell’assoluta incapacità dell’essere umano di sbrogliarsela con se stesso e con quanto lo circonda vita natural durante. Nient’altro esprimono tutti questi quadri, solo questa incapacità, da un lato umiliante per il cervello, e dall’altro, per lo stesso cervello, sconcertante e commovente da morire, così Reger.”
Thomas Bernhard, Antichi Maestri. Commedia, 1985.
Parlami di te e del tuo percorso.
«Sono nato ad Atene, dove ho iniziato a studiare informatica, lavorando di notte al centro stampa di uno dei più grandi giornali del Paese. Né l’informatica né il centro stampa erano buone scelte, e così l’anno successivo mi sono trasferito a Ioànnina per studiare storia e teoria dell’arte, mentre parallelamente lavoravo come assistente topografo, cosa che mi ha permesso di girare una delle più belle regioni montuose della Grecia. Nel 2010 mi sono trasferito a Milano e ho frequentato il quarto anno dell’università a Brera grazie al programma Erasmus. In Accademia, tra le altre cose, ho frequentato il corso di Bruno Muzzolini e Alessandro Mancassola, che ha cambiato decisamente il modo in cui guardavo le cose, dando un forte e diverso impulso alla mia creatività. In quell’occasione ho conosciuto persone che ancora oggi sono per me importanti per il confronto sia a livello umano che professionale. Nel 2011 ho poi incontrato Mario Gorni al DOCVA, esperienza per me magnifica perché è una persona molto generosa e disponibile, grazie alla quale ho avuto accesso all’archivio e l’opportunità di studiare gran parte della storia della video arte italiana. Sono poi tornato per qualche tempo ad Atene, dove ho frequentato un corso intensivo di regia, e nel frattempo mi è stata offerta una borsa di studio per il corso di Arti Visive e Studi Curatoriali in NABA a Milano. L’ultimo semestre l’ho frequentato a Falmouth, un bel villaggio portuale in Cornovaglia e da poco mi sono trasferito a Berlino».
In che modo influisce sul tuo lavoro questa vita nomadica?
«Negli ultimi anni cambio città più frequentemente possibile, cercando di organizzarmi ogni volta quasi da zero. Questo stile di vita, che ha dei limiti e che non potrei immaginare per un periodo a lungo termine, per ora mi permette di non essere influenzato dalle dinamiche dominanti che ogni luogo nutre e che di solito considero negative. Ho l’impressione che lo spostamento frequente mi aiuti a percepire le cose mettendole in un contesto più ampio, evitando così l’immagine distorta che una micro-realtà può indurre.
La maggior parte del tempo mi trovo così in una sorta di fase di adattamento, in cui mi occupo soprattutto di cose semplici e quotidiane, cercando di rimanere flessibile. Questa situazione probabilmente influenza il mio lavoro, fortemente legato ai luoghi in cui mi trovo, rilasciando pochi oggetti o nessuno. Le fotografie più grandi che io abbia mai stampato hanno le dimensioni massime dei bagagli a mano di Ryanair».
Quali sono i campi di indagine che ti interessano?
«Percepisco il mio lavoro soprattutto in termini narrativi e non ho un tema o un campo d’interesse preciso e definito. Osservo le contraddizioni e i rapporti paradossali delle cose e le storie che racconto non sono altro che un tentativo di organizzare queste osservazioni. Non faccio una ricerca prevalentemente formale e non è mio interesse contribuire all’evoluzione dei mezzi espressivi, né essere sperimentale o innovativo.
Anzi mi piace la semplicità e per formalizzare i miei lavori seguo le sue regole. Con semplicità non intendo qualcosa di facile, veloce e immediato ma un’immagine che riesca e rimanere aperta e includere nella sua pura forma diversi strati di lettura».
I tuoi ultimi progetti.
«Ultimamente ho lavorato a progetti di carattere più cinematografico con un gruppo affiatato in Grecia e in Italia: esperienze che hanno cambiato il mio approccio, facendomi rivalutare le potenzialità del lavoro di gruppo. Questo per me è significativo visto che nella mia esperienza artistica ho sviluppato un forte individualismo».
In particolare di cosa ti sei occupato?
«In questi progetti ho affrontato il tema delle partenze: in particolare il momento della decisione e la fase della preparazione. Non il viaggio in sé o l’arrivo. Mi interessava concentrarmi sull’ideazione di un viaggio al di là delle possibilità della sua realizzazione. Ad esempio in Attempt to fly il protagonista cerca di partire costruendosi una macchina per volare, mentre in A day that wasn’t tenta di fuggire, questa volta via mare. In entrambe le storie, le probabilità di successo sono comunque piuttosto scarse e alla fine lo spostamento e più immaginario che fisico».
Quali autori hanno di certo influenzato il tuo percorso?
«Stimo particolarmente il lavoro di scrittori come Georges Bataille e Louis Ferdinand Céline e di registi come Werner Herzog e Vincent Gallo. Mi interessa anche la sensibilità estetica e la libertà narrativa nei film di Philippe Grandrieux e Carlos Reygadas e mi piace molto il modo in cui Pierre Huyghe concepisce le sue mostre».
Se dovessi scegliere dei frame significativi invece, visto quanto l’immaginario filmico pervade i tuoi lavori?
«Frame significativi non ne ho; preferirei parlare piuttosto di film e opere in generale. Ritengo importanti per la mia formazione cinematografica opere come Lessons of Darkness di Werner Herzog, The Brown Bunny di Vincent Gallo, Sombre di Philippe Grandrieux e Post Tenebras Lux, film di Carlos Reygadas. Per i miei ultimi progetti invece sono stato influenzato e ho preso spunti dalla lettura di Storia della navigazione. Dal 5000 a. C. ai giorni nostri di Hendrik W. Van Loon e The Leveling Sea di Philip Marsden».
E, ora come è consuetudine in questa rubrica, ecco la mia domanda per te, Andrea: qual è secondo te il ruolo della critica d’arte contemporanea in Italia?
«Con la proliferazione e la burocratizzazione della figura curatoriale, il ruolo del critico d’arte è diventato sempre più marginale e impoverito in Italia in quanto non funzionale ad un sistema strutturalmente legato a logiche di mercato. Ritengo invece che sia una pratica ineludibile, che dovrebbe rappresentare un dato culturale fondativo e formativo, primario per qualsiasi professionista. Concepisco in tal senso la critica in atto quale metodologia sensibilizzante e vitale sia nei confronti del giudizio sull’opera sia per quanto concerne la conoscenza della stessa al pubblico».
Orestis Mavroudis è nato ad Atene il 12 Luglio 1988. Attualmente vive e lavora a Berlino.