Simone Frangi è ricercatore qualificato in Filosofia e Estetica e Teoria dell’arte presso il Centre National des Universités (Paris, FR), art writer e curatore, è attualmente direttore artistico di Viafarini. Dal 2013 è co-curatore di Live Works – Performance Act Award (Centrale Fies, Trento, IT) e dal 2014 è co-direttore del programma di ricerca biennale A Natural Oasis? | A Transnational Research Program organizzato da Little Constellation (Biennale de la Jeune Création Européenne et de la Méditerranée). Nel 2015 è stato uno dei cinque curatori della X Edizione del Premio Furla e nel 2016 è tra i dieci curatori di della XXVI Quadriennale di Roma.
Il nucleo metodologico del tuo progetto è corale, di pura “riscrittura” delle parti fondamentali degli Appunti per un’Orestiade Africana di Pier Paolo Pasolini. È uno dei più importanti documenti di cinema in Africa e rappresenta un impareggiabile taccuino per l’antropologia dell’immagine. Potresti introdurci Orestiade Italiana?
«Orestiade italiana nasce dall’incrocio di ricerche che cercano di rendere produttive quelle forme ambivalenti di “orientalismo eretico” che Pasolini avanza nella sua ricerca in Africa per analizzare alcune emergenze ancora controverse dell’attualità italiana ed europea. Il processo di “riscrittura” ha come obiettivo di recuperare la forma abbozzata e l’ambiguità del punto di vista del lavoro di Pasolini, nonché il suo carattere propedeutico, ipotetico, di ricognizione e di risveglio politico. L’Italia è in Orestiade italiana una zona speculativa per indagare i controversi meccanismi che regolano i nazionalismi europei e quelle compromettenti coalizioni di multiculturalismi strategici che non fanno altro che replicare l’universalismo occidentale e relegare ciò che Europa non è nel relativismo molteplice delle particolarità. L’obiettivo di questo programma è verificare la possibilità di una de-identificazione nazionale operata per mezzo di un “indebolimento critico” della presunta identità culturale italiana, attraverso un confronto serrato con ciò che essa ha programmaticamente escluso e posizionato come altro da sé. Orestiade italiana si pone l’obiettivo di ripensare la retorica dell’identità nazionale più esacerbata adottando un punto di vista deliberatamente claustrofobico, spingendosi verso inedite forme di cittadinanza globale».
La narrazione della mostra si snoda attraverso le reti delle molteplici relazioni tra pratica artistica e ricerca culturale Italiana, hai scelto alcuni degli artisti più interessanti dell’ultime generazioni con i quali hai da anni un profondo legame. Sto pensando a Maria Iorio e Raphael Cuomo, descrivici il loro lavoro site-specific per la Quadriennale.
«Maria Iorio & Raphaël Cuomo presentano l’ultimo montaggio di Appunti del passaggio, lavoro audiovisivo che analizza i fenomeni d’emigrazione “economica” dal Sud del continente europeo verso il nord tra la fine degli anni Cinquanta fino alla meta degli anni Sessanta. Apolidi e “afoni”, bastardi e non proprietari di nessun regime linguistico, i soggetti di questa migrazione incarnano un processo transiente che incrina l’omogeneità geoculturale e politica della grande finzione europea. Il fulcro di Appunti del passaggio è infatti il legame tra i flussi migratori verso la Svizzera degli anni Sessanta e quelle pratiche di confinamento e di discriminazione xenofoba che li caratterizzavano. Sullo sfondo scorre l’analisi dell’utilizzo del “rischio sanitario” come mezzo di controllo del movimento d’immigrazione e di legittimazione della frontiera: Maria Iorio e Raphaël Cuomo enumerano, tramite la funzione testimoniale del video e la raccolta di documenti, quella serie di accorgimenti burocratici e amministrativi che servivano a comporre per i migranti in transizione verso la terra elvetica uno statuto precario. Nel contesto delle perturbanti e sadiche obbligazioni della Grenzensanitat, controllo sierologico e diagnosi radiografica diventano dunque figure metonimiche di un blocco di politiche elvetiche di ipersecurizzazione del territorio e della gestione transnazionale europea del commercio di corpi».
Continuerei con ‘Frammento 53’, di Carlo Gabriele Tribbioli & Federico Lodoli, il film documentario sulla guerra considerata nella sua dimensione necessaria e universale, confrontata come evento reale e archetipico. Il fenomeno è stato investigato sul campo in Liberia, Paese attraversato da conflitti unici, radicali e irrisolti, che presenta una serie di scenari, personalità ed eventi ascrivibili all’essenza del fenomeno.
«Nell’economia di Orestiade italiana, “Frammento 53” svolge un ruolo cruciale nel sciogliere le intricate questioni teoriche ed etiche legate all’approccio documentario, inserendosi in una continuità diretta con l’Orestiade pasoliniana. Nelle intenzioni originali del progetto e nelle sue successive ricezioni critiche, la spedizione di Pasolini in Africa appare infatti come un vero e proprio viaggio di de-familiarizzazione rispetto ai pregiudizi e alle ideologie che regolavano all’epoca la costruzione dell’immagine del “Terzo Mondo”, geograficamente reale ma anche culturalmente allegorico e gerarchicamente deprezzato. Nei suoi Appunti, Pasolini impostava precocemente una riflessione sulle responsabilità coloniali del dispositivo cinematografico in epoca fascista e post-fascista. In diversi passaggi del film, Pasolini mostra al pubblico le sue debolezze posizionali d’italiano borghese influenzato dalla tradizione nel suo modo di pensare il Sud e assume se stesso e il suo punto di vista dietro la camera come un’incarnazione tautologica di quella borghesia che, criticando l’aggressività coloniale e la sua eredità, per via riflessiva, finisce per autodenunciarsi come “sguardo neocoloniale”. Se il Pasolini degli Appunti ci introduceva all’abuso del documentario etnografico e al servilismo ideologico a cui esso si è lungamente piegato, il film di Tribbioli e Lodoli sembra confrontarsi con una domanda più radicale, chiedendosi se una prassi documentaria sia realmente possibile. Attraverso una field research immersiva, i due autori mettono in tensione e alla prova le proprie ipotesi d’interpretazione del conflitto in Liberia confrontandole con la testimonianza diretta dei warriors. Nell’incontro, contemporaneamente simbiotico e conflittuale, tra sguardo documentario e protagonisti, “Frammento 53” mostra come due sistemi di attese e proiezioni rispettive si possano incontrare e rettificare a vicenda».
Analizzi il nomadismo e l’identità delle migrazioni; l’irrisolte questioni coloniali italiane, con particolare attenzione all’impatto della decolonizzazione e l’apertura della “post-colonia”, l’immaginario politico; lo studio dei conflitti latenti e la stasi europea; i micro fascismi e la normalizzazione sociale; le accelerazioni dinamiche; la resistenza politica e simbolica. Uno spettro estremamente ampio nel quale le dinamiche post-coloniali sono magistralmente sviluppate dal lavoro di Invernomuto, di cui vorremmo avere una tua traccia.
«In Orestiade italiana il blocco d’analisi delle questioni coloniali italiane è articolato dai contributi di Alessandra Ferrini e Invernomuto. Il lavoro di Ferrini si concentra sulla politica amnesica che ha legittimato l’influenza ideologica del colonialismo ben oltre il suo ufficiale smantellamento giuridico, quello di Invernomuto registra invece l’impatto dell’apertura della “post-colonia” sugli immaginari di genere e razziali in Italia. Entrambi i contributi riattualizzano una vena scoperta del lavoro di Pasolini del 1970. Il progetto dell’Orestiade africana è infatti sostenuto da un’acida lettura delle manipolazioni borghesi del mito imperialista del “buon selvaggio”, mito reso ancora più complesso da una lettura che lo associa alle derive di quella “mascolinità tossica” propria della cultura patriarcale europea. Per Pasolini, il concetto di dignità umana borghese – che ha lateralmente giustificato anche le imprese coloniali fasciste – è infatti proprio il modello della “dignità virile”, ovvero un prototipo di dignità legata a una performatività predatoria e impositiva, modellata su un’oppressione di genere originaria, nella quale è trascinata anche la donna nella sua volontà di emancipazione che, per coazione, avrebbe come scopo quello di “fruire per diritto e mimesi della dignità virile”. Il video essay Malù – Il mito della Venere nera in Italia di Invernomuto riattualizza con grande complessità questa riflessione di segregazione razziale e segregazione di genere, svelando il ruolo della cultura televisiva – e in particolare di esperienze tutte italiane come i “mondo movies” o b-movies a sfondo erotico – nel perpetuare la figura della Venere Nera nell’universo del primitivismo, della morbosità e dello sfruttamento sessuale».
Credi l’arte abbia il potere di innestare un reale cambiamento politico?
«Credo innanzitutto nel potere diagnostico e analitico della ricerca artistica e in un vantaggio di trasmissione che i lavori artistici hanno rispetto alla teoria critica e le scienze umane. La mia attenzione si è spesso rivolta ad artisti che mettono in scacco i pattern di oppressione e che utilizzano il proprio lavoro per rendere visibile quello che Pasolini definiva l’”orrore del potere” in coalizione con la società civile, l’attivismo e la ricerca accademica, senza discrimine di competenze. Credo che sia tempo di riformulare le coordinate del social engagement nell’arte, partendo dall’idea che esso non sia legato solo all’azione diretta (che si è rivelata in moltissimi casi retorica se non narcisistica) ma che comprenda anche la fondamentale funzione di “coscientizzazione” che la pratica artistica ha nel circuito di quelle pratiche che affrontano issues sociali con l’obiettivo di risolverli».
Camilla Boemio