Categorie: rubrica curatori

CURATORIAL PRACTISES

di - 8 Febbraio 2016
Bisi Silva è una curatrice indipendente, ha fondato e dirige il Centre for Contemporary Art, a Lagos in Nigeria, aperto nel Dicembre del 2007.
Ha co-curato The Progress of Love, progetto sviluppato in tre sedi tra Nigeria e Stati Uniti. (2012 -2013).  È stata anche co-curatore della mostra “J.D. Okhai Ojeikere:Moments of Beauty”, al Kiasma di Helsinki (2011) e per la 2°.Thessaloniki Biennale of Contemporary Art, in Grecia, ha curato “Praxis: Art in Times of Uncertainty” nel Settembre del 2009. Nel 2006 Silva è stata la curatrice della Biennale di Dakar in Senegal.
Silva è autrice di varie pubblicazioni e articoli in riviste d’arte internazionali, tra i quali: Artforum, Third Text, The Exhibitionist ed è nel board editoriale di Art South Africa, N.Paradoxa. È stata guest editor per il Manifesta Journal: Around Curatorial Practices Numero17 (nel 2013) e membro della giuria internazionale della 55° Biennale di Venezia (2013).
Come si sono sviluppate le pratiche curatoriali negli ultimi anni, nell’Africa occidentale; in particolare in Nigeria e in Senegal?
«Penso si stiano sviluppando lentamente, ma inesorabilmente. Molto lavoro deve ancora essere fatto. In Senegal c’è Raw Material Company che organizza mostre e progetti basati su importanti ricerche. Io ho più familiarità con Lagos, è la mia città. Mentre ci cerca di sviluppare una seria pratica curatoriale, la maggior parte delle mostre evidenziano però di essere ancora in una fase embrionale. Non è ancora acquisito che le mostre devono sviluppare una pratica oltre la semplice selezione di artisti e l’aggiunta di un titolo accattivante».

Sei il Direttore di CCA Lagos; un ottimo museo che mostra l’arte contemporanea con delle mostre tematiche di rilievo ed interagisce con artisti e curatori internazionali. Potresti introdurci l’attività del museo?
«Il CCA di Lagos si distingue per la sua diversità; nel pensiero del pubblico locale – le mostre tendono ad essere abbastanza tradizionali sia nella presentazione, sia nella scelta dei media e soprattutto nelle scelte degli artisti locali. Parte dei nostri obiettivi è mostrare la difformità delle pratiche artistiche e curatoriali sia a livello locale che internazionale. L’arte è un settore nascente, anche se è troppo presto per dare priorità a qualsiasi modello o metodologia specifica. Mi ha conquistato il nostro modus operandi perché non abbiamo lavorato per formati prescritti ed approcci burocratici. Operiamo più come un alternativa, uno spazio d’arte che possa fornire in modo attivo una piattaforma per artisti, scrittori, curatori da utilizzare anche come una sorta di laboratorio. Un modello assodato che abbiamo impostato è quello di utilizzare una solida tematica sviluppata in modo diversificato per un anno. Per esempio ci siamo concentrati sull’ arte, la moda e l’identità negli anni 2010/2011. Abbiamo organizzato mostre che si sono concentrate sulla attività sartoriale come punto di partenza per coinvolgere la storia, la memoria, l’identità delle nostre esperienze quotidiane e della realtà del luogo. In questo programma è stata incluso il progetto dell’artista Pinar Yolacan, che ha contemplato una mostra itinerante in collaborazione con l’IFA in Germania e il Goethe Institute di Lagos; Sartorial Moments and the Nearness of Yesteryear ha presentato per la prima volta la diversità del lavoro del fotografo nigeriano J.D. ‘Okhai Ojeikere (1933-2014). La politica del vestito è stato un altro tema analizzato con la mostra personale del fotografo nigeriano Jide Alakija. Il nostro spazio non è molto grande; così il focus annuale ci permette di andare in profondità e sviscerare le prospettive di una precisa tematica di interesse».

Sei stata la curatrice della Biennale di Dakar nel Senegal e nel 2015 della Rencontres de Bamako La Biennale Africana della fotografia alla sua decima edizione. Vuoi raccontarci quale è stato il tuo contributo curatoriale di Telling time?
«La decima edizione della Biennale di fotografia Rencontres de Bamako ha esplorato il rapporto complesso e multiforme tra le immagini e il tempo. Un tema ispirato sia dalla ricca tradizione orale del Mali che dalle recenti turbolenze del Paese; ha condizionato l’edizione esaminandone i processi utilizzati dagli artisti per condividere le loro esperienze, sia reali che immaginare, del tempo.
Per questa cronaca dei diversi modi in cui gli artisti colgono i collegamenti imprevedibili e sostanziali tra l’azione politica, l’esperienza sociale e l’esperienza estetica; Telling Time, (Dire al tempo) ha fornito molteplici prospettive per misurare il ruolo della fotografia in Africa. Storicamente, le immagini fotografiche sono state interpretate come rifrazioni che illustrano il rapporto tra il tempo e lo spazio; abili argomenti visivi per dimostrare le peculiarità di una data realtà. In questo contesto, Telling Time ha saputo offrire una vasta gamma di progetti in cui l’occhio fotografico sconvolge le interpretazioni del tempo attraverso gli interstizi di un tempo discreto, presente e futuro. Gli artisti scelti utilizzano la fotografia, il film, il video o le animazioni per costruire visioni di un tempo frammentato, disarticolato o ricorsivo in natura, come i tanti modi per raccontare le storie, l’esperienze e i desideri. Mentre artisti come Malala Andrialavidrazana, Seydou Camara e George Mahashe utilizzano gli archivi per mettere in discussione le tradizioni culturali e storiche, il Gruppo Perinium, George Senga, Aboubacar Traoré o Mudi Yahaya implementano strategie di ricostruzione e suggeriscono storie che reinventino possibili futuri. Senza dimenticare l’enorme visione che ci offre la pianificazione urbana e l’architettura di Helga Kohl, Filipe Branquinho e Simon Gush. Indubbiamente in Africa il concetto relativo al tempo è stato oggetto di molti dibattiti popolari e ricerche filosofiche sulle lacune tecnologiche, dalla temporalità coloniale fino alla nascita del capitalismo, o l’azione degli interventi dei movimenti di liberazione nel loro ruolo di decostruire il tempo coloniale fino alla conquista dell’indipendenza, l’identità e lo sviluppo civile. Tuttavia, gli artisti che ho selezionato hanno restituito questi dibattiti con storie incomplete e frammentate; fornendo interessanti letture trasversali socio-politiche».


Credi che l’arte abbia il potere di innestare un reale cambiamento politico?
«Come sognatrice mi piacerebbe crederlo; ma quando si contemplano la violenza e la distruzione alla quali stiamo assistendo, quel sogno sembra sempre più irraggiungibile. Tuttavia credo che l’arte abbia il potere di influenzare la nostra vita, anche se ciò non si traduce in un cambiamento politico. Ho ammirato varie pratiche artistiche socialmente impegnate, l’Arte Pubblica e il modo in cui intere zone e regioni, ad esempio del Regno Unito, sono state rigenerate ed incidano profondamente sul modo in cui ci si interfaccia con l’arte e la cultura. Spero che un giorno i governi di tutta l’Africa capiscano l’importanza dell’arte, e forse a quel punto si potrà iniziare a sentire il loro effetto sul panorama politico».
Camilla Boemio
@https://twitter.com/camillaboemio

Scrittrice d'arte, curatrice e teorica la cui pratica indaga l'estetica contemporanea; nel 2013 è stata curatrice associata di Portable Nation, il padiglione delle Maldive alla 55.° Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, dal titolo Il Palazzo Enciclopedico; nel 2016 è stata curatrice di Diminished Capacity, il primo padiglione della Nigeria alla XV Mostra Internazionale di Architettura, con il titolo Reporting from the Front; nello stesso anno ha partecipato a The Social (4th International Association for Visual Culture Biennial Conference) alla Boston University. Nel 2017, ha curato Delivering Obsolescence: Art Bank, Data Bank, Food Bank, un Progetto Speciale della 5th Odessa Biennale of Contemporary Art. E’ membro della AICA (International Association of Arts Critics). Boemio ha scritto e curato libri; ha contribuito con saggi e recensioni a varie pubblicazioni internazionali, scrive regolarmente per le riviste specializzate, e i siti web; ha tenuto parte a simposi, dibattiti e conferenze in musei e festival internazionali.

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