Categorie: rubrica curatori

CURATORIAL PRACTISES

di - 19 Ottobre 2016
Questa rubrica non vuole essere solo un analisi della pratiche curatoriali, ma riflettere anche sulla pratica artista. Siamo nel periodo in cui il design è stato e viene presentato nelle fiere internazionali, dalla Vienna Design Week alla The London Design Festival e alla Dubai Design Week. Quali pratiche artistiche inglobano gli elementi di architettura e di design in modo virtuoso? Ho scelto d parlarne con l’artista Nicolas Grenier, il cui suo lavoro viene presentato regolarmente in Canada, in Negli Stati Uniti e in Europa. Grenier vive a Los Angeles e a Montreal, ed è rappresentato dalla galleria Luis De Jesus di Los Angeles.
Il tuo lavoro ha un forte elemento di design e guarda ai temi sociali e politici, in particolare alle condizioni di vita nelle aree urbane. Esplori l’incarnazione dell’ambiente costruito nei sistemi di interazioni sociali e nei rapporti di potere. Dicci in poche righe chi sei?
«Sono cresciuto in una zona periferica vicino a Montreal, in Canada, e, quando avevo circa vent’anni, mi sono trasferito in città. Montreal e la maggior parte delle altre città che avevo visto fino a quel momento erano solo normali città per me, e non ho mai pensato all’urbanistica come una materia che potesse essere messa in discussione; fino a quando mi sono trasferito a Los Angeles nel 2008. Questo è stato uno shock: Montreal e Los Angeles non hanno praticamente nulla in comune. Per anni, sono rimasto affascinato da Los Angeles ed ho cercato di capire come una tale città potesse esistere. Ho iniziato a guardare più da vicino il modo in cui le città sono state progettate, e come il design influisca sul paesaggio sociale. Il modo in cui la terra è divisa, venduta e sviluppata, la lunghezza delle strade, la zonizzazione, i sistemi di trasporto, naturalmente, danno forma alla città. Ad esempio, l’area urbana tentacolare e la bassa densità della popolazione di Los Angeles rendono molto difficile avere un sistema di trasporto pubblico decente, che a sua volta aggrava la segregazione sociale. Affrontare la città su una base quotidiana mi ha fatto pensare al rapporto tra l’ambiente costruito e il contenuto sociale, e in che modo, in arte e architettura, siamo in grado di utilizzare il design per rappresentare le realtà sociali e politiche».
Come si traducono i problemi teorici nei sistemi visivi in cui il design, le forme e i colori provocano un’interpretazione più personale nel contenuto?
«I pensieri sono disponibili in modi diversi, credo sia l’esperienza che influenzi fortemente il contenuto e il modo in cui pensiamo ad esso. Un testo digitato in un carattere generico stampato in nero su un foglio di carta bianca produce un certo effetto: accettiamo il carattere, il colore del testo e la carta solo come il supporto per il testo. Mi interessa creare un ambiente visivo che colpisca il contenuto e lo modifichi per come viene interpretato. Se, in uno dei miei quadri, la parola “nazionalismo” si trova nel mezzo di un campo di colore giallo, è necessario vedere il campo del colore giallo prima di poter leggere la parola, successivamente si ha a che fare con la combinazione di un campo di colore giallo e il “nazionalismo”; come si guarda il dipinto, e lo si interpreta insieme ad altre parti del lavoro. Si può iniziare a chiedersi se il colore giallo abbia un significato specifico; se sia uno indizio, focalizzarsi sul design, sull’uso dei colori, sul significato di “nazionalismo”. Spero di mettere in moto questo impegno critico».
Quindi, puoi spiegarti meglio?
«La maggior parte delle volte cerco di non utilizzare elementi visivi che portino un significato preesistente. Quando inizio lo studio per realizzare un quadro cerco di avvicinarmi ai colori e alle forme ideali che stabiliscono una struttura visiva per la mia idea; poi, non appena si compie, modifico ancora e ancora i colori, fino a quando riesco a stabilire uno stato d’animo, un tono visivo che sembra appropriato e che infonderà il contenuto concettuale del lavoro. Il campo di colore giallo, che ho citato sopra, è il risultato di questo processo. La mia speranza è quella di innescare una forma di impegno che coinvolga sia un dibattito intellettuale che un’esperienza visiva soggettiva».
Hai detto: “Come potrebbe la sottile aggressività di un luminoso smalto arancione sopra una rosa freddo; riguardare lo spostamento del significato tra due parole come ‘l’integrazione’ e ‘l’assimilazione'” Ci puoi spiegare questo?
«Ho passato molo tempo a cercare centinaia di combinazioni di colori per ogni opera, e durante il processo costruivo i miei pensieri sul rapporto tra l’idea e il linguaggio visivo che esprime o lo supporta. Se preparo un determinato verde e un arancione specifico, è possibile, miscelando i due, rendere neutrale l’arancione mettendo il blu nel verde e neutralizzando il verde nel rosso arancione, così il giallo diventa il colore che domina, e il risultato del mix sarebbe un giallo scuro che è impossibile creare nei colori digitali. Con questo esempio, abbiamo due colori molto diversi il verde e l’arancione che, quando combinati, lasciano le loro differenze per essere neutralizzati a vicenda e creano un terzo colore, il giallo, che avevano entrambi in comune. Ora, se dico che questo verde rappresenta i canadesi di lingua francese e che l’arancione rappresenta gli anglofoni canadesi, è possibile utilizzarlo come una metafora per illustrare le loro differenze: i due gruppi sono diversi e c’è una tensione tra loro, ma entrambi hanno una forte comunanza. Se utilizzo la “politica dei colori primari”, si penserà alla semplicità, alla semplificazione, ed alla chiarezza. Se opto per “l’ideologia del blu puro”, si potrebbe pensare alla purezza e all’idealismo, che a sua volta potrebbe portare alle politiche ambientali, ma potrebbe anche deragliare verso l’intolleranza, al razzismo e al radicalismo. Non porterà a differenze molto sottili delle ideologie. Se, tuttavia, mescolo un blu in cui ho aggiunto un po’ di giallo, di arancio, di magenta con dei pigmenti marroni, questo blu sarà visivamente più complesso ed effettivamente comprenderà le contraddizioni e le differenze. Si finisce con un azzurro che sfida il linguaggio. Si potrebbe sostenere che questo blu incarni un’ideologia diversa da quella del blu “puro”. La pittura è interessante perché ti dà l’accesso diretto alle infinità del colore. Ciò che è infinito, può portare alla filosofia».
L’installazione “Vertically Integrated Socialism” è una casa sperimentale che integra la piramide sociale in un unico edificio. Come l’architettura moderna, influenza nella progettazione della distribuzione delle idee e delle pratiche? La teoria suona molto bene, ma sono scettica per quanto riguarda la pratica. Puoi darmi un esempio?
«”Vertically Integrated Socialism” è un modello sociale teorico: l’idea non era quella di proporre una soluzione reale per una migliore integrazione sociale, ma piuttosto per creare un sistema socio-economico che integri quelli che vengono lasciati fuori dall’economia del libero mercato, che può essere alimentata solo dalla costante crescita e dall’inflazione. In altre parole, se l’edificio esisteva e se il suo sistema ha funzionato secondo i piani, la sua funzione principale sarebbe dovuta essere quella di mantenere l’ordine neoliberale facendo in modo che chi si ribella abbia solo la speranza sufficiente di rimanere in silenzio.Infine, l’obiettivo del progetto è quello di mettere in discussione il beneficio di integrazione sociale quando questa ultima è fatta con lo scopo di perpetrare una struttura che è fondamentalmente sbagliata e insostenibile. Per me, questa è una cosa che l’architettura o l’arte in generale possono fare: ci permettono di prevedere le realtà in modo alternativo e di riconsiderare la nostra posizione ideologica da nuove prospettive».
I problemi finanziari possono stimolare la ricerca nell’arte e nel design, e come?
«Naturalmente l’assenza di denaro, o più in generale l’assenza di risorse, costringe le persone ad essere più creativi con ciò che hanno. Subito dopo la crisi economica, nel 2008, ho trovato interessante il fatto che c’era un enfasi improvvisa, in molte riviste di arte e architettura, nell’architettura socialmente responsabile, le pratiche d’arte non commerciali, è diventato molto di moda essere socialmente consapevoli, e quando l’economia torna alla normalità, gran parte dell’attenzione si è nuovamente spostata dai piccoli progetti innovativi a quelli grandi e costosi … ma penso, in generale, una grande quantità di arte visionaria sia realizzata nei periodi di crisi».
Camilla Boemio
@https://twitter.com/camillaboemio

Scrittrice d'arte, curatrice e teorica la cui pratica indaga l'estetica contemporanea; nel 2013 è stata curatrice associata di Portable Nation, il padiglione delle Maldive alla 55.° Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, dal titolo Il Palazzo Enciclopedico; nel 2016 è stata curatrice di Diminished Capacity, il primo padiglione della Nigeria alla XV Mostra Internazionale di Architettura, con il titolo Reporting from the Front; nello stesso anno ha partecipato a The Social (4th International Association for Visual Culture Biennial Conference) alla Boston University. Nel 2017, ha curato Delivering Obsolescence: Art Bank, Data Bank, Food Bank, un Progetto Speciale della 5th Odessa Biennale of Contemporary Art. E’ membro della AICA (International Association of Arts Critics). Boemio ha scritto e curato libri; ha contribuito con saggi e recensioni a varie pubblicazioni internazionali, scrive regolarmente per le riviste specializzate, e i siti web; ha tenuto parte a simposi, dibattiti e conferenze in musei e festival internazionali.

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