01 giugno 2015

CURATORIAL PRACTISES

 
Curare il museo. Parla Fabio Cavallucci
di Camilla Boemio

di

Il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato è il più importante museo di arte contemporanea in Toscana e tra i maggiori in ambito nazionale ed europeo. Quale sarà il suo futuro? 
«Il Centro Pecci è la prima istituzione museale italiana costruita ex novo e aperta nel 1988 per presentare, collezionare e documentare le ricerche artistiche più avanzate. Dal momento della sua riapertura, prevista il prossimo anno, dopo il completamento dell’ampliamento e del restauro del vecchio edificio, il Centro Pecci lavorerà su tre livelli fondamentali: le mostre, che potranno essere anche tre o quattro contemporaneamente, ruotando attorno a un tema principale, ma con tipi di opere anche molto differenti; gli eventi che toccheranno gli altri ambiti artistici, quali la musica, il teatro, il cinema; il public program, ossia incontri, dibattiti, conferenze e attività educative. Il Centro cercherà di essere un’istituzione complessa, volta a un largo pubblico, ma anche attenta ad approfondire temi, argomenti ed essere stimolo per un dibattito. Ciò che mi pare assente, o perlomeno debole in Italia negli ultimi anni, è il dibattito critico. Non si discute, non si approfondisce. Il Centro Pecci vorrà essere il luogo d’incontro per tutti coloro che abbiano ancora voglia di sviluppare una discussione culturale e non restare sulla superficie delle cose».
Come sarà e come è il programma di approfondimento critico? Sta creando consenso e seguito da parte dei visitatori? 
«Il fatto che gli spazi espositivi del Centro siano chiusi ci ha dato l’opportunità di usare questo tempo per costruire un “patto” con il pubblico. Abbiamo avviato una delle più larghe attività educative che siano mai state svolte da un’istituzione pubblica. Workshop nelle scuole, con 23 progetti presentati in tutte le scuole di ogni ordine e grado nelle province di Prato, Pistoia e Firenze che hanno già coinvolto un centinaio di classi. Lezioni per adulti: di storia dell’arte, dell’architettura, della musica e della danza, come brevi “Bignami” che in poche lezioni offrono una rapida sintesi degli sviluppi nei rispettivi ambiti dal Novecento ai giorni nostri. Inoltre si è avviato un ampio programma di conferenze, che abbiamo intitolato Changes/Cambiamenti: una serie di personalità internazionali, figure importanti nel loro specifico ruolo, da Zygmunt Bauman a Francesco Bonami, da Philippe Rahm a Yung Ho Chang sono venuti a parlare di cosa dal loro punto di vista sta cambiando nel mondo e in quale direzione. Gli incontri erano in streaming e sono stati registrati e messi a disposizione di tutti su Youtube. Abbiamo attivato corsi specialistici: il primo, per collezionisti, è tuttora in corso; altri cominceranno a breve: per galleristi, per ristoratori, per politici. Sono pronti per partire altri cicli di conferenze sul valore dell’arte, su arte e religione, e un format innovativo intitolato Uomini in guerra, in cui Wlodek Goldkorn, ex responsabile della sezione cultura de “L’Espresso” intervista scrittori, filosofi, sociologi, artisti provenienti dai luoghi di guerra. Non è finita! Abbiamo anche lanciato il progetto #artevita che vede gruppi di giovani mediatori in giro per la città per fornire pillole d’arte contemporanea. I passanti sono approcciati con delle domande, invitati a fare delle piccole prove, per poi confrontarle con immagini su un iPad e scoprire che ciò che hanno fatto non è troppo lontano dalle opere di importanti artisti contemporanei. L’arte non è così lontana dalla vita quotidiana».
 
Rassegna Changes _ Cambiamenti. Incontro con Zygmunt Bauman. Foto Ivan D'Alì
Quanto ritiene sia cambiato l’approccio curatoriale, dagli anni ’90 ad oggi, in Italia? Quanto il contesto storico influenza un notevole segmento delle pratiche curatoriali?
«Come ovunque, a partire dagli anni Novanta, è nata anche in Italia la figura del curatore. Prima le mostre erano curate dagli storici dell’arte, dai docenti universitari. La figura del curatore, freelance, indipendente o istituzionale, così come quella del direttore di museo, è apparsa diffusamente solo a partire dalla fine degli anni Ottanta. In Italia, poi, non si è mai veramente separata dalle altre figure, dal momento che il sistema economico non ha lasciato spazio a uno sviluppo totalmente indipendente e il curatore è sempre rimasto almeno un po’ insegnante o giornalista, dando luogo a una commistione di ruoli, causa prima della scarsa trasparenza del sistema. Il principale difetto dell’approccio curatoriale, che si è instaurato globalmente in questo ventennio, è la scarsa capacità di rinnovamento interno. Oggi, a distanza di oltre vent’anni, tornando in Italia dopo un periodo trascorso all’estero, ho l’impressione di un paese straziato, avvilito, in cui sembra perduta, oltre  all’energia, anche la speranza. Ho la sensazione che non vi siano grandi cambiamenti nell’approccio culturale, che le giovani generazioni procedano per forza d’inerzia. Purtroppo non vedo una reale volontà di correzione degli errori dei padri».
Rassegna Changes _ Cambiamenti. Incontro con Zygmunt Bauman. Foto Ivan D'Alì
Che cosa hanno fatto le istituzioni per soddisfare le richieste di un pubblico sempre più esigente? Quali sono le metodologie utilizzate dalle istituzioni in questi ultimi anni? 
«Soffermiamoci su alcuni esempi in Europa e nel mondo. Siamo di fronte a un cambiamento epocale, anche nella dimensione stessa di ciò che può essere considerato arte. Onestamente, bisogna ammettere che c’è qualcosa che non funziona, che l’arte contemporanea non è così attraente per il vasto pubblico. A parte alcune mecche come il MoMA e la Tate Modern, che però sono diventati dei luoghi turistici, dove si va indipendentemente dall’interesse per l’arte, i musei di arte contemporanea faticano a raccogliere pubblico. Risale a più di dieci anni fa un ironico lavoro di Cai Guo-Qiang, in cui l’artista cinese costruiva un museo di arte contemporanea sotto il ponte di Colle Val d’Elsa: i primi quattro o cinque archi erano riservati ad attività partecipative, giochi a premi, didattica ludica. Solo nell’ultimo, un po’ più in basso degli altri, come in cantina, erano ammassate le opere d’arte. Ecco, sono ormai decenni che i musei di arte contemporanea hanno avviato attività di ogni sorta per avvicinare il pubblico. L’arte stessa si è declinata in modalità relazionali e coinvolgenti. Naturalmente ciò non significa che alcune istituzioni non abbiano sperimentato modalità più profonde di coinvolgimento. Come il Van Abbemuseum di Eindhoven, che cerca di collegare l’arte contemporanea con la società, attraverso tematiche socio-politiche e attività partecipative della comunità. O il Queens Museum che si trova in un’area decentrata di New York e quindi opera soprattutto con la comunità locale. Personalmente, tuttavia, salutai con grande entusiasmo l’ipotesi di lavoro del Palais de Tokyo di Parigi, che quando arrivò sulla scena all’inizio degli anni Duemila offrì l’apertura da mezzogiorno a mezzanotte, operando in orario serale con concerti, performance e attività di questo tipo». 
Rassegna Changes _ Cambiamenti. Incontro con Yung Ho Chang. Foto Ivan D'Alì
Come pensa si possa affrontare e risolvere il gap, tutto italiano, tra arte visiva e pubblico. Come si può attrarre un maggior numero di visitatori, senza banalizzare i programmi museali?
«Intanto bisogna rendersi conto che l’arte visiva non è separata dalle altre arti. Gli artisti ormai da decenni operano mettendo in contatto l’arte con la musica, il teatro, la danza, quindi anche le istituzioni si devono adeguare, e in parte lo stanno già facendo. Semmai vanno indagate le ragioni di queste tendenze e le modalità con cui esse entrano in relazione con i temi importanti per la nostra società. Il problema non è attirare un maggior numero di visitatori ma formare un pubblico consapevole. Ritengo che la diversificazione dell’attività, pur senza snaturarne le ragioni, puntando a una reale profondità di contenuti, sia la cosa migliore che può fare oggi un’istituzione. Un pubblico consapevole risponde se chiamato con ragioni vere e profonde, non sollecitato con eventi superficiali». 

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