Categorie: rubrica curatori

CURATURIAL PRACTICES

di - 29 Marzo 2017
La rubrica vuole mantenere vivo il dibattito garantendo un focus sulla pratica curatoriale e indagando argomenti d’arte di rilevanza con teorici, critici e filosofi internazionali. La conversazione odierna è con David J. Getsy, docente emerito di Storia dell’Arte alla School of the Art Institute di Chicago. Le sue pubblicazioni includono: Queer (2016), Abstract Bodies: Sixties Sculpture in the Expanded Field of Gender (2015), Scott Burton: Collected Writings on Art and Performance (2012), e Rodin: Sex and the Making of Modern Sculpture (del 2010).
La sua idea di storia dell’arte prevede un’analisi sui transgender e i queer, con un’attenzione nei confronti della scultura e della performance. I suoi obiettivi prevedono di permeare le narrazioni canoniche e di utilizzare le teorie sui transgender e i queer come base dalla quale partire per riconsiderare la pratica artistica. Può dirci di più della sua ricerca? E come ampliare le basi di analisi per riconsiderare le pratiche artistiche?
«Il genere e la sessualità sono sempre in gioco quando guardiamo un corpo in un quadro o in una scultura, ma anche quando cerchiamo di dare un senso al mondo e ci impegniamo con gli altri socialmente e politicamente. Mi impegno a difendere quelle posizioni etichettate come “sbagliate”, che presumibilmente non esistono o che non dovrebbero essere consentite. Studio i modi in cui la storia dell’arte offre episodi di resistenza ai tentativi di identità e di riduzione della complessità del mondo e della sua gente a opposizioni semplici (maschio / femmina, normale / anormale, naturale / innaturale). Ci sono molte prove per la molteplicità di genere, per la trasformazione dei generi e per molte diverse forme di sessualità. Per esempio, questo significa che il pensiero non binario sul genere ci permette di vedere in modo diverso l’astrazione, come le sottoculture sessuali forniscono dei modelli diversi per la comunità e come il genere e la sessualità operano al di là di un approccio eccessivamente incentrato sul corpo umano. La mia ricerca nell’arte del diciannovesimo secolo ai giorni nostri persegue queste domande. Questo significa lavorare sugli artisti transgender e queer, ma anche fare ricerca in modo diverso rispetto a quegli artisti che non condividono quelle identità. Così, per esempio, ho scritto un libro su Rodin e ho parlato dei modi in cui la sua sessualità istruisce lo studio della sua pratica. Rodin era notoriamente eterosessuale, ma ho analizzato i modi in cui – nella fase iniziale del suo lavoro – ha sviluppato il suo atteggiamento verso la scultura nel quale emerge l’identificazione con Michelangelo e la sua sessualità. Il mio ultimo libro parla dei modi in cui gli scultori astratti intenti a non realizzare la figurazione abbiano creato opere così complesse dalla semplice visione binaria di genere. Questo è stato al di sopra e al di là della propria identità, e sopratutto delle loro intenzioni. Una visione ristretta sancirebbe che gli argomenti queer non avrebbero nulla a che fare con gli eterosessuali e che le questioni transgender non hanno nulla a che fare con le persone cisgendered. Questo non è solo impreciso, ma è anche una pratica di compartimentazione e di emarginazione. Invece, sostengo l’attenzione alla sessualità tout court e i generi complessi ci permettano di vedere i problemi strutturali più grandi e, in ultima analisi, di avvicinarsi alla lettura degli oggetti d’arte fornendo delle risposte multiple. La labile conoscenza del genere con le sue molteplicità e trasformazioni nei secoli; porta ad un approccio semplicistico nella ricezione degli oggetti d’arte: Una fragilità della nostra concezione, e conoscenza, nella quale il concetto relativo della ‘normalità’ è da scardinare».
Storicamente il termine “queer” era utilizzato contro coloro che erano percepiti come inusuali, deviati. Tra la seconda metà degli anni ‘80 e gli inizi degli anni ’90, negli Stati Uniti la parola queer venne ulteriormente ridefinita, diventando uno strumento di autodeterminazione. Un capolavoro è il saggio Queer, da te curato e pubblicato dal MIT Press e dalla Whitechapel Art Gallery.
«Lavoro allo studio sia dei transgender che dei queer (l’analisi politica e i problemi annessi sono diversi, ma spesso allineati). Dopo il mio libro sugli studi di astrazione e i transgender, ho pensato di realizzare un’antologia sull’arte dei queer. Ho scelto di concentrarsi solo sulle dichiarazioni degli artisti, perché credo le opere d’arte siano anche siti di discorso teorico e che gli artisti, a loro modo particolare, siano alle prese con le grandi questioni teoriche attraverso le loro pratiche materiali. Così, ho deciso che – a differenza degli altri libri della serie – questo sarebbe stato scritto dagli artisti. Con un paio di eccezioni, il libro mette in mostra come gli artisti usino la loro sensibilità fuorilegge per realizzare un lavoro sia politico che poetico. Più che gay o lesbica, “queer” era un termine adottato dagli attivisti politicamente impegnati (a partire dal 1980), volevano marcare il desiderio di non essere normali, ma la domanda è cosa sia la normalità e come fosse autorizzata. È stato incredibilmente difficile restringere l’elenco degli artisti, rispetto coloro che ho incluso, che sono una frazione del grande numero delle pratiche artistiche esistenti. Ho scelto a livello internazionale diverse pratiche ed attivisti, sono felice di aver incluso artisti provenienti da tutti i continenti (tranne l’Antartide!). Nel complesso, ho voluto dare il senso della gamma globale delle proposte degli artisti, degli studiosi e dei critici; ognuno con posizioni diverse, una generale sensazione di urgenza politica e di utilità».
Quali sono le pratiche artistiche queer o trans più interessanti in circolazione?
«È una domanda realmente difficile, a causa dell’energia sorprendente che sta emergendo in questo momento, alcuni artisti meriterebbero un maggiore riconoscimento. Nel mio ultimo libro, sono stato molto interessato ad artisti queer e trans contemporanei che usano l’astrazione. Alcuni dei migliori esempi di artisti che utilizzano la forma dell’astrazione per descrivere le tematiche queer o trans sono Gordon Hall, Jonah Groeneboer, Adam Pendleton, Prem Sahib, Shahryar Nashat, Shinique Smith, Elijah Burgher, Ulrike Müller, Patricia Villalobos Echeverría, Chris Bogia, Carrie Yamaoka, e Andrew Holmquist. Questi sono solo alcuni. Al di là dell’astrazione, ci sono altri artisti che stanno facendo un lavoro incredibilmente coinvolgente del filone trans e politica (come Cassils, niv Acosta, o Tuesday Smillie), il ruolo dei social media in relazione alla comunità e al desiderio (Amber Hawk Swanson o Sean Fader), la critica queer alle normative maschili (Slava Mogutin o Jared Buckhiester), l’opposizione queer alle vicende repressive e alle istituzioni (Carlos Motta, Yan Xing, o My Barbarian), l’insurrezione queer contro la legislazione del corpo (Park MacArthur, Anna Campbell, Brendan Fernandes, o Loo Zihan), o le resistenze alle tecnologie (Zach Blas o Mahmoud Khaled). Ho appena visto una grande mostra di artisti al Fire Island Artist Residency di questo anno, con Wilder Alison, Paolo Arao, Edie Fake, Jesse Harrod, and Derrick Woods-Morrow. E’ stata fantastica. In molti non la dimenticheranno».
On Being a Public Artist with AIDS in 80s America sarà il titolo di una delle tue lecture, ma è anche un punto importante per l’analisi di come il contesto sociale si è evoluto nella storia dell’arte americana. Dicci di più.
«Questa sarà la mia lezione per il simposio che accompagnerà la presentazione della importante mostra d’arte sull’AIDS in America che si terrà a Chicago. La mia lezione sarà su Scott Burton – ed è anche il tema del libro che sto scrivendo. Burton era profondamente impegnato con la politica queer nella sua performance già negli anni ‘70. È morto di AIDS nel 1989, e questo documento parla dei modi in cui la politica a volte possa essere espressa in modo sottile o codificata. La sua negoziazione con le organizzazioni e le istituzioni gli ha concesso grandi commissioni pubbliche statali. Come parte della mia ricerca storica, mi interessa il modo in cui queer e i trans contribuiscano alle pratiche artistiche – anche se sembra non ne partecipino in un primo momento – essendo coinvolti dalle questioni di genere e sessualità».
Una parte considerevole della nostra realtà minimizza la sopraffazione, compresa la violenza strutturale. Troppo spesso reputiamo i danni fisici e/o l’uccisione di qualcuno, come l’unico paradigma della violenza. Ma questo ci può impedire di notare altre forme di prepotenza che coinvolgono l’umiliazione e la sofferenza. Perché?
«Ci sono momenti quotidiani di oppressione che vengono sopportati dagli individui non conformi, e questi vanno dai pregiudizi politici palesi all’aggressività legale più sottile, ma non meno dannosa, scontri continui dettati dall’ignoranza e dai pregiudizi della gente per come i generi si riferiscono ai corpi e come i corpi siano costretti in uno dei due sessi. Mentre scrivevo le mie risposte alle vostre domande, il presidente americano ha firmato un ordine che ha tolto le protezione per gli studenti transgender. La questione centrale è il diritto di usare il bagno del proprio genere prescelto. Alcuni lettori possono pensare sia un aspetto minore o una questione privata, ma questo è perché non hanno avuto tutti i giorni il disagio di trovarsi inadatti verso una struttura architettonica. Si tratta di un primo esempio della violenza strutturale contro i transgender e le persone non conformi. È un privilegio non pensare a quale bagno si debba utilizzare (o dove saremo al sicuro), e quel privilegio viene perpetuato al costo che altri vengano fatti sentire insicuri o siano privati della dignità. Questa comprensione limitata nel modo in cui costruiamo gli edifici, forma le nostre istituzioni. Produce l’umiliazione e la vergogna per tutti coloro che non si adattano, stabilendo che non sono i benvenuti. Questo tipo di violenza deve essere combattuta tanto quanto la violenza fisica. Allo stesso modo, abbiamo bisogno di guardare indietro e rivedere le storie e combattere il modo in cui sono state cancellate le vite dei transgender e dei queer, troppo spesso rese caricaturali, ed emarginate. Ciò comporta non solo portare alla luce nuovi artisti del passato, ma riconsiderare tutte le storie e le figure con la consapevolezza che i generi siano molteplici, mutevoli, e spesso non si adattino facilmente in una semplice struttura binaria. C’è un sacco di lavoro da fare, e abbiamo bisogno di chiedere una visione più inclusiva (e di conseguenza più precisa) del mondo e delle reciproche differenze. Rientra nel modo in cui possiamo tentare di ribaltare il tipo di disuguaglianza strutturale e di violenza che si verifica a molti livelli. In questo, l’arte può essere uno strumento fondamentale per la richiesta di nuovi modi di vedere e di agire».
Camilla Boemio

In alto: Gordon Hall, Set (XI), 2015 (installed in its disassembled arrangement) Pigmented joint compound and tile mosaic
@https://twitter.com/camillaboemio

Scrittrice d'arte, curatrice e teorica la cui pratica indaga l'estetica contemporanea; nel 2013 è stata curatrice associata di Portable Nation, il padiglione delle Maldive alla 55.° Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, dal titolo Il Palazzo Enciclopedico; nel 2016 è stata curatrice di Diminished Capacity, il primo padiglione della Nigeria alla XV Mostra Internazionale di Architettura, con il titolo Reporting from the Front; nello stesso anno ha partecipato a The Social (4th International Association for Visual Culture Biennial Conference) alla Boston University. Nel 2017, ha curato Delivering Obsolescence: Art Bank, Data Bank, Food Bank, un Progetto Speciale della 5th Odessa Biennale of Contemporary Art. E’ membro della AICA (International Association of Arts Critics). Boemio ha scritto e curato libri; ha contribuito con saggi e recensioni a varie pubblicazioni internazionali, scrive regolarmente per le riviste specializzate, e i siti web; ha tenuto parte a simposi, dibattiti e conferenze in musei e festival internazionali.

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