14 luglio 2014

L’altra metà dell’arte/L’allestimento

 
Grazie a Matteo De Vittor, responsabile degli allestimenti all’HangarBicocca, scopriamo i retroscena di una professione fondamentale per la buona riuscita di una mostra. Le sue parole risultano ancora più interessanti, quanto più imponenti sono le opere da allestire. E, quanto a grandi proporzioni, la Fondazione milanese ne sa parecchio

di Manuela Valentini

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Che percorso formativo ha svolto prima di giungere all’HangarBicocca?
«Dopo aver conseguito il Diploma di Laurea presso la Facoltà di Lettere di Udine, la mia formazione di base è stata soprattutto sul campo: dal lavoro di “guanto bianco”, all’assistente di studio di Ilya e Emilia Kabakov, agli spazi museali pubblici e privati, in Italia e all’estero, dalle piccole Fondazioni alla Biennale di Venezia; seguendo una progressione di esperienze e responsabilità legate al coordinamento, l’organizzazione e la progettualità, fino a giungere all’attuale ruolo in HangarBicocca». 
Lei è il responsabile degli allestimenti, ma immagino si avvalga di un team qualificato. Quali sono le competenze specifiche richieste? 
«La buona riuscita di un allestimento parte innanzitutto dal grande lavoro di preparazione che, con i colleghi, viene svolto giornalmente e che consente ad un “cantiere” di allestimento di svolgersi nella maniera più fluida. Il tutto viene realizzato con la supervisione manageriale da parte di Pirelli che è il principale sostenitore di HangarBicocca. L’arte contemporanea è contraddistinta dalla trasversalità anche a livello tecnico. È fondamentale nella mia attività il confronto e la collaborazione costante con specialisti dei più diversi campi. Dalle tecnologie audio-video più avanzate, ai tecnici appassionati che si occupano di proiezioni in pellicola; dai piccoli artigiani che continuano e tramandano preziosi saperi a team ingegneristici che studiano materiali all’avanguardia; carpentieri, fabbri, light designer, elettricisti, tecnici del suono – l’elenco sarebbe infinito – in ogni mostra si può incontrare una nuova professione. Il nostro compito quindi è anche mediare e tradurre le necessità degli artisti anche a questi professionisti che mai avrebbero pensato alla loro attività in un ambito museale/artistico. Ad essi si aggiunge il personale altamente specializzato che si occupa del maneggiare le opere».
Non sente una grande responsabilità nell’allestire opere così complicate, delicate e imponenti? Tra le numerose opere ingenti che sono state esposte nell’immenso spazio della Fondazione, penso in particolare a On space time foam di Tomas Saraceno e ai Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer del peso di 90 tonnellate ciascuno. Immagino corriate dei rischi non da poco e che ogni tanto abbiate anche delle emergenze. Come le gestite? 
«La responsabilità che contraddistingue il nostro lavoro è grandissima, in primis nei confronti dell’artista. Tutto è finalizzato alla migliore esposizione del pensiero, dell’estetica e della visione che l’artista vuole comunicare. Altrettanto importante è la responsabilità condivisa con tutto il gruppo di lavoro che fonda l’istituzione, nel dimostrare, attraverso il nostro operato, l’alta professionalità che contraddistingue ognuno. In alcuni casi, come per esempio in On space time foam, l’allestimento era un vero e proprio cantiere edile – con tutte le normative di condotta e sicurezza previste, per le quali ci siamo avvalsi e abbiamo avuto il supporto dei professionisti di Pirelli. Le emergenze sono rare, quello che costantemente ci troviamo a fronteggiare sono gli aggiustamenti e le piccole modifiche che la monumentalità del nostro spazio forza nell’allestimento delle opere. L’aneddotica è sempre ricca, ma sarebbe impossibile raccontare un singolo episodio, forse perché svelare il dietro le quinte rischierebbe di affievolire la meraviglia data dalle opere».
E gli artisti come partecipano agli allestimenti? Sono d’aiuto?
«Gli artisti, insieme al curatore e al team curatoriale, sono parte fondamentale dell’allestimento. Senza il dialogo curatore-artista e il dialogo artista-spazio, soprattutto nel nostro caso, le mostre sarebbero prive dell’emotività e della passione che contraddistinguono questi momenti. Nella vera e propria costruzione poi, le attitudini degli artisti si evidenziano in maniera molto soggettiva, alcuni osservano e danno indicazioni, altri si rimboccano le maniche e partecipano attivamente a tutte le fasi del lavoro».
Per svolgere la sua professione, pensa sia utile conoscere la storia dell’arte o non è così necessario?
«Per potersi confrontare, dialogare e lavorare con un’artista è fondamentale conoscere il suo percorso artistico ed estetico, la conoscenza della storia dell’arte in genere e nello specifico del protagonista del progetto. E’ naturale che ci sia una conoscenza specifica e talvolta approfondita sulla tecnica, ma come detto in precedenza, sarebbero troppi i campi da approfondire, quindi è fondamentale poter trovare dei punti di dialogo partendo dalla comprensione della sensibilità artistica, dalla progettualità, dalle metodologie lavorative dei singoli artisti che si incontrano».

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